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Dopo che Robert l'aveva salutata, Cassie si era subito ritirata nel suo appartamento. Fece una doccia lunghissima e decise di chiudere l'acqua solo quando si era resa conto che le sue dita si stavano raggrinzendo.
Non riusciva a togliersi dalla testa il fatto che Daniel rischiava così tanto. Perché la legge era così dura? Se una cosa del genere fosse successa meno di un anno fa, probabilmente non gli sarebbe successo nulla. Pochi mesi prima lei era solo un'aspirante cacciatrice, una ragazza lupo che si allenava insieme ad altri suoi coetanei. Aveva una vita del tutto normale, se non si pensava al segreto che custodiva, e le cose, tutto sommato, andavano bene.
Più volte aveva pensato che la sua vita era diventata un casino da quando aveva passato gli esami ed aveva iniziato ad allenarsi come una vera cacciatrice. Probabilmente, se George non avesse mandato Morgan come assistente di Robert, lei non lo avrebbe mai conosciuto e George non si sarebbe neanche accorto di lei. Sua madre non sarebbe morta, sarebbero rimaste a Holding e magari lei alla fine non avrebbe neanche prestato giuramento per le Famiglie. Sarebbe rimasta insieme a Cameron a proteggere i cittadini di Holding, come avevano sempre sognato, e non si sarebbero mai allontanati come invece era successo.
Allo stesso tempo, però, non avrebbe mai conosciuto Nathan e non si sarebbe mai innamorata di lui. Non avrebbe avuto Robert come tutore e Maia come appoggio. Non avrebbe incontrato Ethan e Daniel e, soprattutto, non avrebbe mai avuto a che fare con Morgan, suo fratello.
Pensò che, tralasciando qualche particolare come la morte di sua madre e George che voleva ucciderla, la sua vita non stava andando tanto male. Non era molto diversa da quanto se l'aspettava.
Sentì la porta del bagno che si apriva ma non era quella che dava sulla sua stanza. Era quella dell'altra camera da letto, quella che Ethan non aveva scelto per darle un po' di privacy.
S'infilò la maglietta in tutta fretta ma non uscì. La porta si aprì lentamente e non si sorprese nel vedere che era così delicato anche quando apriva una porta.
– Scusami – disse con aria pensierosa – Non sapevo che fosse qui.
Cassie non si mosse. Aveva ancora le gambe scoperte ma non si sentiva per niente in imbarazzo, non con lui – Non preoccuparti – rispose. Notò che Nathan non aveva spostato lo sguardo sulle sue gambe nude ma del resto questo faceva parte di lui. O era una persona particolarmente pudica oppure non aveva nessun interesse nei suoi confronti. Non appena si rese conti degli strani pensieri che le stavano balenando in testa, le venne voglia di prendersi a schiaffi.
– E' meglio se esci – disse Nathan rigido. Cassie lo guardò. La stava cacciando? – I capelli – disse guardando il pavimento – Stai bagnando per terra.
Rimase sorpresa da quell'affermazione. Davvero gli importava che i suoi capelli stessero gocciolando? Prese i jeans e tornò nella sua stanza sbattendosi la porta alle spalle.
Emise un sospiro e le sembrò di sentire che anche Nathan aveva sospirato, come se adesso fosse sollevato del fatto che lei non era più con lei. Non doveva essere lei quella arrabbiata? E allora perché quasi quasi si sentiva in colpa per come si era rivolta a lui quando erano in macchina?
Si sedette sul letto e socchiuse gli occhi. Nonostante il lungo viaggio e tutto lo stress accumulato non si sentiva affatto stanca, solo un po' affamata.
Per un momento prese in considerazione l'idea di andare in cucina ma poi pensò che anche la avrebbe potuto incontrare Nathan. Allora si sdraiò sul letto.
Solo dieci minuti, pensò, e poi sarebbe andata a prepararsi qualcosa da mangiare.

Per la prima volta da quando si conoscevano che Nathan non vedeva l'ora che Cassie lasciasse la stanza.
Sapeva che c'era lei dietro la porta del bagno eppure era entrato lo stesso, consapevole che l'avrebbe potuta trovare anche in modo poco presentabile.
Si era concentrato per tenere lo sguardo fisso su un punto a caso sul suo volto pur di non soffermarsi sulle curve morbide del suo corpo. Non poteva neanche guardarla negli occhi. Dopo quello che le aveva detto e in base a come si era comportata lei quando erano in macchina, si era reso conto che forse per un po' era meglio se non si parlassero anche se, visto com'era cambiata la situazione, sarebbe stato parecchio difficile.
Dopo essersi dato una ripulita, stava tornando nella sua nuova stanza, quella che, per quanto ne aveva capito, comunicava con quella di Cassie. Oppure era quella di Ethan? Probabilmente quei due erano davvero diventati una cosa sola e lei usava il bagno di lui per lavarsi o addirittura il suo letto per dormire. Socchiuse gli occhi e sospirò costringendosi a smetterla di farsi certi pensieri.
Poco prima di tornare in camera sua, però, vide una collana per terra. Il laccio era nero in cuoio e il ciondolo era in acciaio. Si trattava della runa Wolfsangel, dente di lupo in tedesco. Conosceva bene quel ciondolo, era il suo.
Lo aveva sempre portato sotto la maglietta, al sicuro da occhi indiscreti, per ricordarsi cos'era in realtà. Prima di partire per l'Antartide l'aveva lasciato a casa di Robert ma quando era tornato a Holding non lo aveva più ritrovato. Adesso capiva il perché.
Probabilmente lo aveva preso Cassie e lo aveva tenuto con sé, forse per ricordarsi di lui o forse perché le piaceva visto che anche lei era un lupo.
Strinse il ciondolo nella mano e si diresse verso la stanza in cui era andata Cassie.
Lei era sdraiata su un fianco e gli dava le spalle, la solita posizione che assumeva quando dormiva. Per un momento ebbe la sensazione che lei fosse sveglia ma dal modo in cui stava respirando capì che effettivamente stava dormendo.
La osservò per qualche secondo, proprio come aveva fatto la mattina precedente, prima che aprisse gli occhi. Prima che succedesse tutto quel casino.
Si spostò dall'altro lato del letto in modo da poterla vedere in viso. Anche se dormivo i suoi occhi si muovevano avanti e indietro. Chissà cosa stava sognando.
Gli tornò in mente quello che gli aveva detto quello stregone in Antartide e gli venne l'idea di sfiorarla se effettivamente quell'uomo aveva ragione. Ma cosa avrebbe fatto poi? Lei si sarebbe svegliata e si sarebbe accorta che lui era la. Gli avrebbe fatto delle domande su quello che era successo oppure si sarebbe arrabbiata perché si era intrufolato nella stanza.
Si ritrasse e rimise la collana in tasca. Uscì dalla stanza dalla porta principale, senza passare per il bagno, e si ritrovò davanti Ethan.
Non si erano parlati durante la riunione con Morgan e dopo che Ethan aveva portato via Daniel non si erano più rivisti.
– E' sveglia? – gli chiese Ethan.
– No.
– Cosa ci facevi la dentro? – Non era per niente arrabbiato né nervoso, sembrava semplicemente stanco. Non diede a Nate il tempo di rispondere – Non importa. Ne parliamo più tardi, quando saremo tutti abbastanza lucidi da poter ragionare – Gli diede una pacca sulla spalla – Vado a riposare e dovresti andare anche tu. Sono le quattro del mattino e a mezzogiorno dobbiamo andare in missione.
– Così presto? Siamo appena tornati.
– Secondo Morgan dobbiamo condurre una vita normale e adesso che Daniel è dietro le sbarre, Cassie non ha un allenatore e non può rimanere a palazzo a rigirarsi i pollici fino a quando qualcuno deciderà di fare la sua mossa e di... – S'interruppe e deglutì. Evidentemente anche per lui, il solo pensiero di perderla, faceva davvero male – Vado. Buonanotte.
Ethan gli voltò le spalle e si diresse in corridoio. Quindi quella era davvero la stanza di Cassie, loro due non dormivano insieme. Non stasera, disse la vocina nella sua testa.
Strinse i pugni e si ritirò nella sua stanza. Era stanco morto eppure non riusciva a prendere sonno.
Non era riuscito a salutare Robert e non aveva avuto modo di avvisarlo del fatto che da quel momento, fino a chissà quando, sarebbe stato un cacciatore dei Winkler.
Cassie era nella stanza accanto e quasi gli sembrò di sentire che si agitava nel sonno. Quando dormivano nella stessa stanza, a casa di Robert, lui si alzava e la controllava. Un paio di volte si era sdraiato al suo fianco e aveva notato che il sonno della ragazza, dopo poco, diventava più tranquillo. Inizialmente pensava che fosse si trattava solo di una sua impressione, ma dopo quella conversazione con lo stregone, in Antartide, si era reso conto che tutte quelle cose, il bisogno di starle accanto, poterle quasi leggere nel pensiero, sentirsi forte quando lei combatteva al suo fianco, il fatto che i loro cuori battessero quasi allo stesso ritmo, non era solo coincidenze.
Siete destinati a stare insieme. Che lo vogliate o meno non potrete vivere separati uno dall'altra. Pensando a quelle parole, finalmente, sentì le palpebre farsi più pesanti.
L'ultima cosa che sentì fu Cassie che, dalla stanza accanto, stava sussurrando il suo nome.

Le mani le facevano male e quando aprì gli occhi per controllarsele le si gelò il sangue.
Aveva le mani legate a una grossa catena di acciaio inchiodata alla trave del tetto e i piedi le penzolavano da terra. Le tornò in mente di quella volta in cui George l'aveva catturata e aveva intenzione di ucciderla. Cercò di liberare le mani ma era praticamente impossibile. Tutte le volte che si muoveva, le catene si stringevano ancora di più intorno ai suoi polsi.
Si trovava in una stanza dalle pareti sporche e incrostate di muffa. Le finestre erano coperte con dei vecchi giornali e lasciavano filtrare solo qualche spiraglio di luce dai piccoli strappi sulla carta ormai logora. C'era un odore pesante di escrementi e urina, come se li ci fossero stati dei topi e poco dopo, come per dare conferma di quello che pensava, ne spuntò uno. Era un ratto grosso e nero. La fissò per qualche istante con quei piccoli occhietti. Sembrava che il piccolo animale provasse compassione per lei e, in effetti, non aveva torto.
La porta davanti a lei si aprì e il topo scappò via.
Si sentì mancare non appena vide quella figura tanto famigliare. Aveva i capelli grigi tirati all'indietro e indossava un abito elegante. Le si parò davanti e la osservò con disprezzo.
Mentre si dimenava per liberarsi e urlava per il dolore che provava ogni volta che le catene strofinavano sui suoi polsi, George rideva di gusto.
– Oh piccola mia – disse poggiandole due dita sotto il mento – Puoi urlare quanto vuoi. Nessuno ti salverà, non questa volta.
Sapeva che non sarebbe finita così, che qualcuno sarebbe arrivato in suo aiuto. Le parole di George, però, erano state troppo sincere e pensò che forse aveva ragione, che questa volta non sarebbe venuto nessuno.
Continuò a lottare per sciogliere le catene ma era consapevole del fatto che non sarebbe mai riuscita a liberarsi.
La porta si aprì silenziosamente e quando Cassie alzò lo sguardo, si sentì sollevata.
Sapevo che saresti arrivato, pensò.
Nathan ricambiò il suo sguardo per qualche secondo e sorrise, come se avesse capito a cosa stava pensando Cassie. Impugnava una katana e si stava avvicinando verso George per sorprenderlo alle spalle. Cassie notò che non era da solo. Con lui c'era Daniel, armato di una sciabola. Quest'ultimo, però, aveva una strana espressione. I suoi occhi azzurri non erano vivaci come sempre ma spenti, assenti. Il corpo era quello di Daniel ma Cassie ebbe la sensazione che non fosse lui davvero. Nathan si avventò su George e provò ad affondargli la katana nel petto ma venne bloccato da Daniel. Cassie pensò che forse voleva dare lui il colpo di grazia a George ma si sbagliava. Daniel disarmò Nathan e lanciò la katana a George che la impugnò al volo.
L'uomo iniziò a ridere e spostò lo sguardo verso Cassie – Il tuo cacciatore è venuto a salvarti – sibilò – Non potrebbe starti lontano neanche volendo, non è vero? – disse rivolgendosi a Nathan.
Lui stava per rispondere ma George gli trapassò il petto con la katana. Al contrario di quanto si sarebbe mai aspettata, Nathan non lottò. George spinse la spada sempre più a fondo e alla fine il ragazzo si accasciò a terra. Il sangue iniziava a colargli dalla bocca e il corpo era pervaso da spasmi di dolore ma nonostante ciò, non smise neanche un attimo di guardare Cassie. A un certo punto gli spasmi cessarono e Nathan rovesciò gli occhi all'indietro.
– No! – urlò lei. Le lacrime cominciarono a scendere e per la prima volta non aveva nessun timore a dimostrare la sua debolezza. Nathan non stava più respirando e anche il suo cuore si era fermato.
Si udì uno schiocco di dita e le catene si spezzarono, come per magia. Cassie si trascinò accanto al corpo senza vita di Nathan e gli prese la testa tra le mani. Non sapeva cosa dire. Nathan era morto davanti ai suoi occhi, era morto per salvare lei, era morto per colpa sua.
Una rabbia improvvisa cominciò a scorrerle in corpo. Si alzò e guardò Daniel – Perché lo hai fatto? Perché?! – gli urlò – Tu eri nostro amico! Dovevi aiutarci...
– Non è colpa sua – disse George con uno strano tono dolce e comprensivo – Il ragazzo non agisce secondo la sua volontà.
Cassie si voltò – Che cosa significa?
George sorrise – Proprio non capisci? – poi scosse la testa – Ma infondo, come potresti?
Cassie non capiva cosa stesse accadendo. Era tutto confuso e non riusciva a capire dove si trovassero di preciso.
Si era distratta solo per qualche secondo ma fu abbastanza per permettere a George di avvicinarsi a lei – Questa volta non verrà tuo padre a salvarti – le sussurro all'orecchio, e, prima ancora che lei potesse dire o fare qualcosa, un dolore lacerante le colpì il petto. George aveva appena trafitto il petto.
Incrociò lo sguardo di colui che avrebbe dovuto prendersi cura di lei e tutto ciò che vide fu soddisfazione, soddisfazione di averla finalmente uccisa.
Ma lei non era morta davvero, non ancora.
– Ti troverò – disse in fine George – Ti troverò – ripeté. Poi sparì nel nulla insieme a Daniel e il corpo di Nathan.
Si rannicchiò su se stessa e inizio a piangere e urlare.
Poi udì un'altra voce –
Non preoccuparti, sto arrivando.

NOTA AUTRICE:

La runa di Wolfsangel non ha niente a che vedere con Shadowhunters. Ho solo fatto una ricerca su Internet sui simboli dei lupi e tra tutti mi ha colpita proprio questa.


La Cacciatrice Ibrida 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora