Capitolo 16 - Una cura

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CAPITOLO 16 - Una cura

Mi svegliai prona, riversa a terra, con il viso schiacciato sul pavimento della stalla e un alito caldo e dall'orribile odore sul viso. Aprii gli occhi all'istante e lanciai un breve grido: il naso di un cavallo mi stava annusando tutto il viso e mi insozzava i capelli con la sua lingua, mentre assaporava il sapore dei miei capelli. Mi scansai goffamente rotolando da un lato, ma l'animale, che non era legato, continuò a starmi addosso, annusandomi, come per stabilire se stessi bene. A quel punto mi misi a sedere e gli accarezzai il muso: questo gesto mi costò un dolore immenso. La schiena, il collo e, soprattutto, la testa, mi dolevano in una maniera mai sperimentata prima. Quando l'animale si accorse che ero viva, smise di prestare attenzione a me e la spostò al preziosissimo fieno, di cui la stalla era gremita. Mi appoggiai ad un muro della stalla, ricordando quello che era successo la notte precedente: dov'era Antonio, in quel momento? Perchè mi aveva lasciata andare, quasi illesa? Automaticamente nella mia testa si venne a formare una moltitudine di domande, che scacciai con una scossa di capo: avrei trovato la risposta a quei quesiti più tardi, ora dovevo capire se fossi ferita o meno. Mi tastai attentamente la testa e la nuca, ma sentivo solo del dolore, come se dei chiodi mi fossero penetrati nel cranio, comprensibile a causa di quanto fosse successo la notte precedente. Ciò che, tuttavia, sentivo più dolorante, era la schiena: non riuscivo quasi a tenermi dritta, probabilmente a causa dei colpi contro la parete che avevo ricevuto. Ricordai le mani di Antonio avvinghiate al mio collo che mi spingevano violentemente contro il muro e rabbrividii, desiderando scacciare quel pensiero. Feci un lungo respiro per tranquillizzarmi un poco ed alzai la testa: dagli ampi finestroni della stalla si poteva notare che il sole stava sorgendo e una luce fioca illuminava l'ambiente.

Mi alzai da terra lentamente ma ebbi un capogiro, di nuovo e mi appoggiai al muro della stalla. Avevo preso davvero un brutto colpo sul capo, a quanto sembrava. Dopo un po', quando vidi che riuscivo a restare in piedi abbastanza a lungo senza perdere l'equilibrio, iniziai a camminare verso la stanza delle ancelle, a passi piccoli e calcolati. Lungo il tragitto decisi che non avrei raccontato nulla a nessuno; il mio silenzio avrebbe giovato a me per prima e, nonostante tutto, anche a Fabrizio che si trovava in guerra. Quando sarebbe tornato, avrei pensato a cosa fare con le informazioni che avevo ottenuto da quel mascalzone di Antonio. Il sole ormai era sorto e per i corridoi della Villa iniziavano a brulicare numerose persone affaccendate, come fanno le formiche in un formicaio. Sgattaiolai nella stanza delle ancelle come se non ne fossi mai uscita, notando che qualcuna ancora dormiva e non avrebbe prestato attenzione a me. Il letto di Attilia era vuoto e sicuramente la ragazza si era accorta della mia assenza... mi preparai psicologicamente alla serie di domande che, di certo, l'avrebbero accompagnata.

Mi lavai velocemente il viso e le braccia con l'acqua ghiacciata che si trovava su un catino, dopo di che cercai di aggiustare la mia veste, tutta stropicciata, con fili di paia ancora attaccati alle gonne. Ebbi un nuovo capogiro e mi appoggiai al mio letto, iniziando a spaventarmi e respirando forte, non sapendo cosa fare: era la terza volta che mi succedeva, quella mattina. Non potendo recarmi altrove, andai a passo incerto in Biblioteca, per svolgere il mio lavoro quotidiano, dove invece, casualmente trovai Iginia intenta a portare delle pergamene arrotolate.

-Buongiorno Aurora- disse la donna, con voce gentile e spensierata. Sebbene avessi la mente avvolta da un'indefinita nebbia, che rendeva quasi impossibile ogni mio tentavi di elaborare qualche pensiero coerente e sensato, ricordai di dover delle scuse ad Iginia e non persi tempo:

-Iginia... ti chiedo perdono per ciò che ho detto ieri... io non avrei mai voluto permettermi di dire qualcosa di così sconsiderato...- iniziai, ma la donna mi zittì con un gesto secco, che inizialmente sembrò brusco, poi però sorrise:

-Non ti preoccupare, Aurora, eri sconvolta ed io me la sono presa troppo, in un momento in cui tu evidentemente non ragionavi!- esclamò con tono gioviale e cortese. Le sorrisi a mia volta e sembrò che, solo in quel momento, Iginia si accorse dello stato in cui si trovava il mio viso.

Ex scintilla incendium oriri potestDove le storie prendono vita. Scoprilo ora