Capitolo 19 - Una promessa

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CAPITOLO 19 - Una Promessa

Fabrizio mi guardò per un po' negli occhi ed io presi qualche istante di tempo per metabolizzare tutte le informazioni ricevute, capire ed immedesimarmi in tutte le vicende che erano accadute. L'unica cosa che tuttavia non mi era chiara, era come Fabrizio si fosse salvato da quella situazione a dir poco mortale ed irreversibile. Non sapevo se avesse voglia di raccontarmelo o se rievocare il ricordo gli provocasse in qualche modo dolore. Alla fine, però, vinta dalla curiosità non riuscii a trattenermi e glie lo domandai:

-Come hai fatto a salvarti, dopo tutto questo?- chiesi guardandolo negli occhi, cercando di accorgermi se per caso qualche ombra fosse scesa sul suo viso dopo quell'interrogativo. Il Generale mi sfiorò le guance arrossate con i polpastrelli delle dita e invece che rabbuiarsi mi sorrise calorosamente.

-Non riuscirai mai a crederci... il Dittatore Massimo mi ha trovato a terra esanime e mi ha portato nella sua tenda, mentre la battaglia infuriava. Essendo un uomo molto colto, ha saputo come comportarsi in quel momento: ha bendato strettamente le mie ferite e mi ha tirato addosso dei secchi d'acqua per farmi svegliare. Una volta raggiunto quell'obiettivo, mi ha dato da bere e, grazie ad alcuni servitori, sono stato condotto fuori dall'accampamento, dove si ritrovava all'incirca la metà di tutta la legione romana. L'altra metà non è riuscita a salvarsi...- interruppe il suo racconto per sospirare profondamente. Abbassò gli occhi, forse un po' rattristato, tuttavia gli bastò guardarmi per tornare sereno. Non riuscii a trattenermi, ancora una volta, dal fare domande:

-Poi cos'è successo?- chiesi ancora curiosa. Fabrizio sorrise:

-Vuoi sapere proprio tutto vero?- rise dolcemente e mi accarezzò i capelli in maniera affettuosa, mentre io continuavo a guardarlo attentamente, come se fossi stata ammaliata da lui.

-Noi Romani rimasti abbiamo atteso, nascosti tra le montagne vicino Canne, che i Cartaginesi se ne andassero dal nostro accampamento, dopo aver recuperato quanto possibile, abbiamo chiesto ricovero presso le città vicine fedeli a Roma. I cittadini sono stati benevoli, altruisti e ospitali, aiutando l'esercito romano a rimettersi in sesto e dandogli la possibilità di riorganizzarsi. Il Dittatore Massimo è riuscito ad ideare una nuova strategia e dopo aver ricostruito parte dell'accampamento in un'ala nascosta della regione e dopo aver fatto ristabilire tutti i soldati malati e feriti, ha scagliato di nuovo l'esercito contro i cartaginesi ed ha mandato me qui a Roma, per chiedere al Senato dei rinforzi, affinchè la guerra potesse andare avanti. Con questo, avendo io riportato delle ferite non indifferenti, mi ha concesso di restare a Roma il tempo necessario a ristabilirmi appieno.- concluse così il suo racconto e restammo in silenzio. Mille altre domande mi frullavano in mente: come avessero reagito Iginia e suo padre dopo aver scoperto che il figlio era ancora in vita, se glie lo avesse detto, come si sentiva riguardo alla morte di suo fratello e cosa l'avrebbe aspettato a Roma dopo il suo rientro. Tuttavia conoscevo Fabrizio ed ero a conoscenza del fatto che non gli piacesse svelare troppo spesso i suoi pensieri più profondi e i suoi sentimenti, in quanto uomo romano che si comportava conformemente al mos maiorum, quindi non chiesi altro. A confermare la mia ipotesi si aggiunse il fatto che lui stesso iniziò a pormi delle domande e non indugiai oltre nell'indagare i suoi sentimenti e lo ascoltai:

-Tu invece?- chiese curioso -Cosa hai fatto durante la mia assenza?- lo guardai, feci un respiro profondo poi iniziai a raccontare.

P.O.V. Fabrizio

Dopo che Aurora se ne fu andata per svolgere le sue mansioni quotidiane e per non destare sospetti (poiché, nonostante tutto, la nostra storia era e doveva restare a qualsiasi cosa segreta ancora per un po'), restai solo nella mia stanza con i miei pensieri. Sospirai, seduto alla scrivania della mia camera, con le mani giunte davanti al viso. Nella stanza, riuscivo ancora a sentire il dolce profumo di Aurora e la mia pelle profumava ancora di lei, quasi fosse ancora li con me, così chiusi gli occhi, per percepire meglio quella sensazione. Finchè rimanevo in quell'atmosfera di pace e tranquillità, potevo illudermi di non avere problemi, ma una volta varcato l'uscio della stanza, non avrei più potuto ingannare me stesso e avrei dovuto affrontare tutte le mie incombenze. Evitare gli impacci non li risolveva di certo, dunque decisi: era ora di presentarmi da mia madre e da mio padre. Mi ero comportato in maniera indegna ed ingrata: la sera precedente, non appena ero arrivato a Roma dopo il lungo e stancante viaggio, mi ero recato subito nella mia camera certo che, in qualche modo, vi avrei trovato Aurora. Il cuore mi comandava di agire in quel modo senza riflettere, tuttavia non avevo pensato nemmeno per un attimo di svegliare i miei genitori, che certamente dormivano, per dargli la buona notizia. Avevo preferito che Aurora fosse la prima a sapere che ero ancora vivo e il mio cuore palpitava e la mia mente fremeva al desiderio di rivederla ancora. Quella mattina di certo, le guardie che la sera precedente avevano pattugliato la Villa, dovevano aver riferito qualcosa a mio padre. Il loro sguardo, al mio arrivo, era stato talmente attonito che non mi avevano nemmeno chiesto un riconoscimento per accertarsi di chi fossi e mi avevano lasciato oltrepassare la porta di casa, allibiti. Se mio padre l'avesse saputo, si sarebbe adirato alquanto. Sebbene avesse appena iniziato ad albeggiare, sapevo che il Senatore era un uomo mattiniero e sebbene il mio cuore mi consigliasse di recarmi subito da mia madre, che di certo stava soffrendo molto, il mio dovere era quello di recarmi dal pater familias.

Ex scintilla incendium oriri potestDove le storie prendono vita. Scoprilo ora