VI

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Canzone Capitolo: Take Me Home; Jass Glynne

Le sue labbra sono attaccate alle mie, mordono e marchiano, mi fa un poco male tutta quella voracità.
La bocca dello stomaco si è chiusa ed i polmoni chiedono aria, così mi stacco; io, per primo mi stacco.
I miei capelli sono arruffati, manco mi ero reso conto che aveva passato quelle dita perfettamente affusolate tra i miei capelli, che mi avevano accarezzato con quella leggerezza mortale da lasciare segni indelebili in me.
Mi pulisco le mani un poco sudate sui miei pantaloni, e poi lo guardo.
O meglio, guardo solo ciò che mi interessa.
Mai, in tutto quel tempo mi ero prestato ad osservarlo davvero, la sua faccia era okay, o meglio, più che okay.
I capelli lunghi, davvero lunghi e castani, mi ricordano il legno bagnato della baita estiva in cui passiamo - che paradosso! - l'autunno.
La pelle rosata e più bianca dove io l'ho toccato e pressato senza far passare il sangue, ecco!, il sangue che passa per quelle vene d'acciaio che sono fottutamente impossibili non vedere sul suo collo.
Gli occhi, che manco a parole so descrivere, verdi chiaro e azzurri e forse oro, sembrano un insieme di diamanti, pietre e liquidi sconosciuti a me.
E il corpo, il suo corpo lungo, che sembra quasi stretto in questa Ford, le gambe lunghe e snelle, il busto fino ma muscoloso. È bello, un angelo di Michelangelo comparato a lui non è niente, nemmeno lontanamente.
E ora quegli occhi di cui tanto ciarlo mi guardano selvaggiamente, quasi con rimorso.
Che cosa ora? Non ti è piaciuto?! Cazzo!

«Allora..», schiarisce la gola e si gratta la punta del naso, « ti ho portato qui perché..»

perché...?

«Perché è un bel posto non ci sono ragioni.» ah bene, anche scazzato sta!

Allora mi limito ad annuire, che di far scoppiare un litigio infondato non ne ho voglia; mi sbraco meglio su questo sedile e finalmente osservo ciò che giace in questa notte attorno a me.
Arriccio le maniche della mia camicia, i denim sono diventati oramai troppo scomodi per le mie posizioni complicate.
Gli occhiali calano ogni tre per due sul mio naso ed io sono costretto ad agitare la testa per riportarli su.

Rimaniamo a guardare un po' il cielo che sta prendendo sfumature sempre più viola.

«Qual è il tuo colore preferito?», chiede, finalmente decide di spezzare il silenzio, come io ho spezzato il bacio.

«Verde», dico subito, ed il mio cervello mi rimprovera, e fa bene cazzo!
Ma sono stupido o ci faccio?

Verde? È blu, blu, fottutamente blu, come gli occhi che per anni mi hanno tormentato nei sogni, gli occhi di quel povero Niall, il mio migliore amico - niente più, mi son detto sconsolato per ben tre anni.
E ora? ora è il mio migliore amico e mi va bene, perché ora, il nuovo colore che mi tormenta è il verde.

Sia tu maledetto Harry Styles.

«..e il tuo?» non lo guardo mica, troppa luce per il buio che ci fa ombra qui in macchina.

«Credo cambi ogni giorno, a seconda del mio umore, ma per oggi è il marrone.»

«Marrone?», lo guardo scettico, non che abbia niente contro il marrone, ma...marrone?

Allora ridacchia un po' lui, forse divertito dalla smorfia che il mio viso ha preso, facendo corrugare sopracciglia, assottigliare gli occhi, stringere il naso e storcere la bocca.

«Si, marrone. Qui tutto ciò che è marrone è coperto da muschio o qualcosa di verde e bagnato, vorrei tornare al marrone caldo, quello terroso.», mi spiega, ed io annuisco, ha proprio ragione.

«In che giorno sei nato?», continua a sparare domande, ma i fatti tuoi?

«Ventiquattro dicembre.», il tuo? - vorrei replicare, ma non c'è tempo, spara ancora.

«Pietra preferita?» topazio, «Taglia di scarpe?» 43, «Secondo nome?» eh no! questo non te lo dico!, e va avanti così, finché poi, non si mordicchia in unghia, finalmente sembra un adolescente.

«Uhm, sei vergine?», qui il fiato, finalmente lo prende, e la domanda esce febbrilmente.

«Tu Harry? Sei vergine?», che poi noi, qui cosa intendiamo per vergine?

Ce l'ho scritto in fronte che lo piglio in culo; in tutti i sensi.

«Certo che no.», risponde fiero, ma quella è la risposta di un povero etero.

«Sei mai stato con un uomo Harold?», è qui che ti volevo!
Come diventa rosso poi!, si porta una mano tra i capelli e li tira un po' alla radice.

«No, non sono una checca.», vacci piano bimbo!

«Il bacio di prima dice altro.» lui annuisce e basta.

«Allora? Sei vergine Louis?», chiede sospirando e stringendosi nelle spalle.

«No Harold, non lo sono.», sospiro anche, alla mente tornano le mani ruvide da cui mi faccio toccare nei miei momenti di debolezza, che poi, per l'appunto non sono niente di più, niente se non debolezza.
Ho mai fatto l'amore? No.
Allora forse, sono vergine, devo ancora provarlo davvero.
Quindi, sono vergine? Si.

«Va beh, torniamo a casa.», caro Styles, quella in cui mi stai portando per me non è proprio casa.
Casa per me è un posto in cui sto bene, e per ora io sto bene con te.

Adiaforía ( Larry Stylson )Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora