(Parla Harry), – Harry che non soffre più, non per Louis.
Io, che di addii ne avevo sentiti tanti, con gli addii ci avevo convissuto, li avevo sentiti bestemmiati e urlati, forti e gutturali alle mie orecchie.
Io, che a poco più di vent'anni, un uomo bello e sano, io li avevo dovuti soffrire – gli addii, che erano stati troppi e sovrumani.
Li avevo sentiti rimbombare nella cassa toracica, tra gli organi che mi erano stati strozzati in mano, e tra il battito del sangue che coagulava.Io, sempre io e solo io, avevo dovuto impacchettare tutte le mie sicurezze e andarmene con la mia famiglia, o ciò che ne rimaneva, perché una famiglia non lo eravamo più.
Eravamo pezzi di un qualcosa di astratto, e manco combaciavamo, non ci assomigliavamo, io ero di un colore, loro di un altro, io avevo delle scritte e loro dei disegni.Io, ancora io perché sono io il centro di tutto ora, addio non l'ho detto.
Non a lui per lo meno, l'ho detto alla mia casa a Londra anni addietro, lo avevo detto agli amici e ai primi amori, poi, a Forks, lo avevo dovuto sentire troppe volte risuonare e schiacciarmi le spalle da Louis, sempre e solo Louis, perché lui gli addii li amava.
Avevo sentito l'eco del suo addio persino dentro la testa, non che mi dispiacesse sentire il suono della sua voce, ma non era manco piacevole, ecco.
Avevo detto addio alla mamma, che lei tanto non c'era verso che sarebbe stata sempre con noi, lei non sarebbe tornata come fa qualcuno, lei era morta e non c'era più, e basta.Quindi, la soddisfazione di vedere il suo sguardo freddo mentre glielo dicevo – :addio –, non gliel'ho data.
Me ne sono andato e basta, ho ascoltato il rumore dei miei passi sulla strada ciottolata di casa, con il sole a pungermi le spalle e il vento a scompigliare i capelli, ho guardato Gemma, che lei, non mi guardava più, da tempo.
Ho guardato papà, che lui, mi guardava sempre troppo spesso, perché non era sicuro dei miei 'sto bene, va bene così'.spazio, spazio era quello che mi ripetevo perché era ciò di qui avevo bisogno.
spazio, sempre spazio, era ciò di cui anche lui aveva bisogno.
E perciò, dopo un ultimo sguardo alla casa bianca a tegole grigie, me ne sono andato.
Senza dirgli addio, perché quella parola era stata consumata tra le nostre labbra e inghiottita dai nostri respiri.
E quindi, io, sempre io, dopo che la più grande tempesta aveva colpito Londra, una grande e più dura notizia aveva scolpito il vero e definitivo 'Addio' sul mio cuore il mio animo e la mia pelle.
Quindi girovago per Londra, ogni notte, ad urlare un addio non detto, più per principio che per mancanza.
Girovago senza meta, senza alcool, solo con un libro – indovinate quale, che è sempre lo stesso, perché Wonderland non è facile da dimenticare e lasciare, è il posto perfetto dove dimenticarsi del dolore – in mano e tanti pensieri borbottati.
Le lacrime non scendono più, si sono ghiacciate – mi dico.Quindi, i fiori sono appassiti, li ho visti, mentre perdevano colore e cadevano giù, il sole non è più tramontato, il cielo è rimasto buio, ma senza le stelle, e i frutti sono marciti, non c'era più musica, n'é il cappellaio matto, non c'era più niente nel nostro Wonderland.
Era tutto scomparso, assieme al sole che non batteva più, perché l'ambra dei suoi occhi s'era consumata tutta, e la sua voce s'era mozzata, non c'era nulla, ma non mi dispiace.Che quello stronzo, l'amore, la nostalgia, gli abbracci, le carezze e gli addii, non se li meritava.
Non si meritava niente, non da me.
n/a:
volevo farvi sapere come va la vita di Harry, dopo la morte di Lou so ecco a voi. ;)
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Adiaforía ( Larry Stylson )
FanfictionAmerica, 1944; Louis William Tomlinson, ragazzo semplice, di famiglia benestante è rinchiuso nella cittadina di Forks. Harry Edward Styles, docile all'apparenza figlio del nuovo parroco, nasconde la sua vera natura. Sfocerà un amore impossibile. Per...