20. Fuoco dentro.

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Take out of your wasted honor
Every little past frustration
Take all your so called problems
Better put them in quotations

Say what you need to say

Walkin' like a one man army
Fightin' with the shadows in your head
Livin' out the same old moment
Knowin' youd be better off instead
If you could only

Say what you need to say

Have no fear for givin' in
Have no fear for givin' over
You better know that in the end
It's better to say too much
Than to never to say what you need to say again

Even if your hands are shakin'
And your faith is broken
Even as the eyes are closin'
Do it with a heart wide open
A wide heart

Say what you need to say

[Say, John Mayer.]

HARRY

Erano le 2.27 del mattino quando rientrai a casa dal Bobby's, in punta di piedi, per non svegliare mia madre.
Abitavamo in un piccolo appartamento al piano terra - in uno di quei quartieri più vicini al college - in cui le persiane delle finestre erano difettose e il rubinetto della cucina gocciava acqua.
Era rimasto tutto nella stessa posizione, da quando, 8 anni prima, mio padre se n'era andato.
Mia madre si divideva tra il suo lavoro - l'infermiera - e la casalinga; anche se devo ammettere che questa non le era mai riuscita benissimo.
Anch'io stavo studiando per diventare infermiere, ma ero due anni in ritardo: il lavoro mi aveva portato via più tempo di quel che avrei potuto immaginare.
Lavoravo al Bobby's per pagarmi gli studi e per aiutare mia madre, e, anche se avrei potuto avere un piccolo monolocale mio - con più privacy e tranquillità - l'idea di lasciare sola mia madre non mi aveva mai entusiasmato.
Era una donna piuttosto giovane - aveva appena 43 anni - e al passo con i tempi; si sarebbe benissimo potuta rifare una vita, ma, da otto anni a questa parte, ancora non era successo.
Ci speravo, ci speravo veramente, anche se non glielo dicevo mai.
Non sono mai stato un ragazzo espansivo - un figlio, espansivo.
Ma credo lo sapesse, in fondo, che tutto quello che facevo era anche per lei - i soldi sotto al vaso di margherite in cucina, il frigo sempre pieno, Max sempre pulito.
Non era molto, in realtà, quello che facevo.

Mi riscossi dai miei pensieri, e poggiai le chiavi dell'auto sul mobile d'ingresso, per poi dare due mandate alla porta fintamente blindata.
Camminai al buio per il corridoio, cercando di fare meno rumore possibile, per evitare che Max si svegliasse e cominciasse a correre e ad abbaiare ovunque - oltre ad emozionarsi, e si sa cosa succede se un cane si emoziona.

Passando, mi affacciai nella camera di mia madre - la tenue luce lunare che filtrava dalla finestra.
La vidi raggomitolata nelle coperte, Max ai piedi del suo letto che dormiva profondamente.
Sorrisi.
Un piccolissimo sorriso che mi partì direttamente dal petto, scaldandolo di poco.

Mi allontanai, arrivando nella mia camera e accostando la porta lentamente, producendo comunque un piccolo cigolìo.
Buttai il maglione e i jeans logori sulla sedia, infilandomi nel letto ancora sfatto dal giorno precedente.

Non appena chiusi gli occhi - come in un flash, un fulmine nel cuore - mi vennero in mente due occhi, i colori che sembravano esplodere in quello sguardo - chiaramente e profondamente, come se fossero lì, di fronte a me; come se non fossero passate così tante ore dall'ultima volta.
Azzurro. L'azzurro dominava in quegli occhi come il mare sulla Terra. Poi verde intenso. Uno sprazzo di verde intenso che si faceva spazio in quell'occhio destro, tra l'azzurro cielo - come un isolotto fluttuante in mare aperto.
Ross.
Settimane indietro, quando la vidi per la prima volta senza quegli occhiali scuri sul viso, rimasi a bocca aperta. Mi sentivo come un cratere che si spaccava sempre di più.
Avevo una spaccatura profonda nel cuore, per quella strana ragazza invadente che guardava nella mia direzione senza mai vedermi veramente.
Quando quella volta incrociai il suo sguardo - quando i suoi occhi mi entrarono anche dentro - pensai di non aver visto mai niente del genere - niente di così forte e così fragile allo stesso tempo.
Era bella.
Era bella lì davanti a me, i capelli scuri ad incorniciarle quella pelle chiara, le goti poco arrossate.
Glielo avrei detto se non fossi stato ciò che ero, se per me i sentimenti non fossero contati così poco: dal primo momento avrei avuto un altro tono, un altro atteggiamento, un altro modo - che di certo si legava di più al fuoco che sentivo dentro.
Poi però, era sempre con Malik, e quel ragazzo non mi era mai piaciuto.
Neppure quel giorno, prima di incontrare il suo sguardo per la prima volta, quando le era accanto con quei suoi modi languidosi, riuscii a contenermi dal parlare in quel modo.
E vidi, vidi come ci rimase quando non la considerai - quando feci finta che non ci fosse, che non contasse la sua presenza.
Facevo sempre così, come se non contasse niente, come se niente fosse importante, anche le cose importanti.
Anche lei, facevo finta non fosse niente.
Ma altro che niente.
Sono cresciuto troppo in fretta in una famiglia dalle basse pretese - dove i sentimentalismi erano aboliti come il pane fresco tutti i giorni -, e arrivare nel pieno dei miei 22 anni a dovermi confrontare con qualcuno che voleva capirmi - voleva cercare di entrarmi dentro - facendomi sentire come un incendio nel petto, mi ha stretto il cuore in una morsa.
E mi sono spaventato, lo ammetto ora.
Mi sono spaventato e ho detto che non era niente - mi sono comportato come se fosse esattamente così, niente.
E sono scappato.
Come quella sera al Bobby's, dopo aver cantato. La trovai lì fuori, sola, seduta su quel muretto gelido.
Mi disse che mi aveva sentito, che non sembrava cantassi solo con la voce.
Quanto aveva ragione.
Ma non glielo dissi, naturalmente.
Non dicevo mai niente di ciò che sentivo, neanche la verità.

Dopo quelle che mi sembravano neppure un paio d'ore da quando mi ero sdraiato, strizzai gli occhi, accecato un secondo da una luce nel buio della mia stanza.
Poco dopo una debole suoneria mi costrinse a mugugnare e strascicare la mano per prendere il mio telefono, sul comodino.
Riuscii ad aprire appena gli occhi per leggere il nome sullo schermo.
In un secondo scattai in piedi, nel panico.

"Cody?" La preoccupazione nella mia voce.

"Harry, sono Michael." Parlò, per poi continuare subito dopo - senza darmi modo di replicare nulla. "Vorrei dirti che è tutto okay, ma non è così. Cody è ubriaco fradicio, prima che arrivassi io era sopra una ragazza; mi hanno detto che ha anche spaccato due bottiglie sul parabrezza della macchina di Luke. Non ne è contento. Se mi dai l'indirizzo te lo porto, se ci riesco." Disse tutto così velocemente da farmi arrivare il cuore a mille - sentivo i miei stessi battiti nelle orecchie, con la stessa intensità di un treno che corre sulle rotaie.

"Michael aspettami, arrivo io. Siete da Luke?" Parlai mentre mi rivestivo più veloce che potevo.

"Sì, ma intanto cerco di caricarlo in macchina. È fuori di testa, Harry. È peggio del solito." Sentii, mentre uscivo di nuovo di casa, repentinamente.

Saltai in macchina, e mi lanciai verso casa di Luke.
A riprendere mio fratello.

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Eccomi qui come promesso! Ho deciso di fare tutto un capitolo dal punto di vista di Harry, per riuscire a chiarire alcune cosette.
Spero vi piaccia!
Un bacio a tutti voi♡

No Matter [h.s.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora