Poi arriva quel momento, quell'orribile momento in cui diventi il centro delle attenzioni di un gruppo di persone, della massa, quel momento in cui vorresti solo che sparire. E succede a tutti, e dico tutti.
Perché anche un Johnny Depp avrà provato questa sensazione, trovarsi in un luogo e sentirsi così scomodo, come in un paio di jeans troppo stretti.
Stare lì, ritta in piedi di fronte alle tante persone che sentivo, era un condanna. I loro occhi mi pizzicano la pelle delle braccia e del viso e delle mani, costringendomi a voltarmi diverse volte - come per, che so, intimidire? - prima di ricordare che avrei potuto solo percepirle, quelle occhiate.
Ma si sapeva, quello che ero. La gente parlava e le voci correvano, avendomi fatta divenire conosciuta per quello che avevo passato, anche se i ragazzi che mi circondavano, non conoscevano proprio niente.
E non sapevo neppure come avevo fatto a non sbattere su qualche muro o qualche banco entrando, o semplicemente come avessi trovato subito la maniglia sulla sottile porta ruvida, e la voce del professore avesse risposto cordiale al mio bussare.
Non lo sapevo veramente.
Quelle azioni erano così automatiche nella mia testa, che non dovetti sforzarmi di compierle.
La classe era da tempo, molto tempo che era in silenzio, facendomi sentire ancora più in soggezione. Il problema era: non sarei riuscita a trovare un banco vuoto da sola, non ci riuscivo neppure in condizioni normali, troppo distratta dalla mandibola o dagli occhi di qualcuno per prestare attenzione al resto.
Figurarsi ora, in queste condizioni.
Qualcuno dovette cogliere la mia implicita richiesta, perché sentii le gambe di una sedia stridere sul pavimento.Una persona che voleva aiutarmi? Quale strana magia avevano fatto i miei Fantagenitori?
"Lasci che l'aiuti, Mrs. Jennens." Disse il professor Salenth, alzandosi. Un'altra sedia stridette sul pavimento, e la mia testa scattò in direzione dell'acuto suono.
"Non si preoccupi professore, faccio io." Replicò una voce maschile, parlando velocemente. Le parole "leccapiedi" e "idiota" bisbigliate da qualcuno, risuonarono nelle mie orecchie, ma le scacciai, troppo allibita che qualcuno volesse anche solo rivolgermi la parola.
Chi è questo essere che dopo mesi, sembra gentile con me? Un'allucinazione, sicuramente.
Dei passi leggeri e sicuri risuonarono nella silenziosa stanza, rendendo l'atmosfera molto stile film horror.
La cosa mi rassicurava sempre più.
Sembrava come se in quella stanza non ci fosse nessuno, come se la vicenda non si stava svolgendo al fronte di persone che mi reputavano meno di quello che avrei potuto dare.
Come in un film, pensai. Ma di quelli brutti, aggiunse la coscienza.Sentii una mano morbida avvolgermi delicatamente l'avambraccio e, dopo un "Vieni" appena sussurrato, mi tirò in avanti, facendo muovere le mie instabili gambe.
Appena toccai la superficie del banco, mi rilassai, pur se poco.
Tutta l'esposizione di quel giorno, mi aveva provocato un forte cerchio alla testa che non accennava a sparire, e, non appena il tizio lasciò il mio braccio e si fece cadere su di una sedia al mio fianco, capii che non lo avrebbe fatto ancora per molto.
Mi sedetti, piano e leggiadramente, non volendo attirare altra attenzione su di me.
Sembrò come se la tensione del momento precedente fosse volata via, come portata da una folata di vento autunnale, e le persone intorno a me, si fossero nuovamente scordate della mia esistenza.
"Eccezionale come inizio." Mormorai sarcastica, parlando tra me e me. Continuai a giocare con i sottili morbidi guanti che ricoprivano le mie mani, memorizzandone la costistenza e le cuciture. Un ottimo modo per passare il tempo; sembrava anche vero.
I sussurri rivolti a me si intensificavano e diminuivano a momenti, creando una sinfonia di "L'hai vista?" "Povera" "Troia" e via dicendo, proprio da manuale.
"Cosa?" Il ragazzo al mio fianco parlò, con tono sommesso e leggero. Di preciso, non avrei potuto dire se si fosse rivolto a me - Invece lo sapevi perfettamente, ribattè il mio subconscio - quindi feci finta di niente, facendo finta di seguire ciò che il professore aveva iniziato a dire; un qualcosa a che vedere con gli ecosistemi marini, forse. Mi è sempre piaciuto il mare, le creature che lo abitano e tutto ciò che gira intorno ad esso. Clary dice che alle volte assomiglio ad un pesce palla, che per non farsi mangiare ingurgita tanta acqua da diventare troppo largo anche per i predatori più grandi. Però in fondo, penso lo dica anche per il veleno. Passarono diversi minuti, e il palla pesce, come lo chiamava la piccola Bìa, fu sempre stupidamente nella mia testa.
I miei profondissimi pensieri vennero interrotti da delle dita che sfiorarono piano la mia spalla sinistra, unite contemporaneamente ad un "Ehi" che si fece largo tra me e il mio compagno di banco. Sussultai, la mano destra premuta forte al petto.
"Mi hai spaventata a morte." Dissi piano.
"Scusami, non volevo." Rispose, non dando segni di voler lasciare cader lì la conversazione.
"Ti serve, cosa?" Sussurrai, tirando fuori i libri dal mio zaino East pack, pur di far qualcosa.
"Il tuo nome." Lo sentii muoversi irrequieto sulla sedia.
"Se mi hai aiutata, significa che già sai il mio nome." Risposi con ovvietà e forse, ma proprio forse, un pizzico di acidità.
"È vero, ma avrei preferito risentirlo ora, da te." Disse, la voce troppo alta per passare inudita alle orecchie del professore.
"Malik, veda di non disturbare la signorina Jennens, altrimenti dovrò farla uscire."
"Non volevo disturbare Ross, professore. Stavo solo cercando di farmi dire il suo no-" Lo interruppi con un lamento, e poi continuai.
"Sì, sono Ross, d'accordo?" Parlai con un tono più acido di quanto avrei voluto, ma i sensi di colpa nemmeno mi sfiorarono. Dieci minuti che lo conoscevo e già mi aveva infastidita. Sei tu ad essere facilmente irritabile, la mia vocina interiore disse.
Maledetta.
"D'accordo, Ross."
E per un momento, il momento subito dopo che parlò, mi scordai della classe e del professor Salenth e di me, sentendomi semplicemente a casa.