16. Wonder.

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"Potresti almeno provare ad ascoltarmi?" Parlò Clary, ormai esasperata.

Erano più di quaranta minuti che eravamo sedute al bar del college, sorseggiando tè alla menta - il secondo della giornata - e chiacchierando sulla sua nuova fiamma; un certo Alan - "i suoi occhi sono infinitivamente wow", a detta della mia amica, che era sempre stata molto incline alle nuove cotte. In realtà però, lei stava chiacchierando: io mi limitavo ad annuire fintamente interessata. Non che non mi piacesse parlare con lei o con qualcuno in generale, solo che quel giorno - come spesso - ero assente.

Probabilmente il fatto era dovuto a tutto ciò che accadde nei giorni precedenti - Harry compreso. Perché, in realtà, quello con lui fu solo uno degli episodi impossibili e di rilievo delle ultime 72 ore.

Infatti, Zayn continuò a riempire ogni mio secondo con la sua presenza - mi seguiva dalla mensa alla biblioteca, dal parcheggio al centro commerciale.
Strano non sia con noi anche adesso, mi ritrovai a pensare. Era diventato una sorta di piccolo gnomo che mi ritrovavo da tutte le parti, a mettermi in guardia su un ostacolo o un avvallamento, oppure più semplicemente, diveniva un compagno d'ascolto. Anche se, i miei silenzi non erano paragonabili alla Primavera di Vivaldi.

Di certo non lo erano.

Ma Zayn sembrava non farci caso, il fumo delle sue sigarette che si disperdeva tra di noi, come una coperta calda ad avvolgerci.

E la cosa più impossibile e strana che accadde, proprio mentre eravamo lì io e lui, sulla trasandata panchina del parco ad aspettare un sempre ritardatario Michael, fu una richiesta. Una semplice e banale richiesta, come quelle che mi faceva durante le lezioni di biologia - "Posso prendere la tua penna?" "Posso vedere una cosa dal tuo libro?" - ma con un significato per me più profondo, come una lama che scava in una ferita.

"Posso leggerti qualcosa, un giorno?" Chiese piano, come a non voler oltrepassare quel confine sacro tra noi - quel recente equilibrio creato. Ma non sarebbe servita a nulla, tutta quella prudenza; con neppure due settimane, era riuscito a scalfire i miei sentimenti più nascosti, la mia voglia di uscire che, quando ero con lui, si faceva largo nel mio petto.

E semplicemente, in un sussurro o poco più, tra una tirata di fumo e l'altra, pronunciai un un pò strascicato, sperando lui capisse.

Sperando capisse cosa intendevo con quel tono e quei miei modi di fare; speravo capisse cosa realmente era successo in me: un subbuglio di indecisioni e paure ad attenagliarmi i muscoli.

Allora, quando si avvicinò - il suo corpo caldo seppur fosse Dicembre - e posò delicatamente la mano sulla mia schiena come a volermi rassicurare, seppi che aveva compreso.

Si era reso conto che lo stavo includendo nel mio passato. Una dolce brezza di Marlboro e menta si mischiò alla fredda aria intorno a noi, e sentendolo pronunciare quel Grazie, con la bocca vicina al mio orecchio, non potetti far altro che sorridere, il cuore e le dita aperte, come a voler accogliere una volta per tutte quel senso di libertà e condivisione.

Ma quel sorriso, pur essendo stato presente tutto il pomeriggio - tra una battuta di Michael e una stupidaggine di Zayn - si spense, una volta raggiunta la mia camera. I miei amici se ne erano andati da qualche minuto, lasciandomi sulla soia della porta, come se fossero a conoscenza di quello che avrei vissuto, di lì a poco.

Appena entrata raggiunsi il letto, il familiare rumore del bastone al suolo - toc, toc, toc - rilassava i miei pensieri e mie gambe, il sorriso ancora sul mio viso.

Tastai la trapunta pesante alla ricerca del mio tecnologico telefono - un sistema vocale mi permetteva di utilizzarlo come se nulla fosse, come se in realtà avessi potuto pigiare ogni tasto e vedere ogni immagine - giusto per accertarmi che qualcuno non mi avesse cercato. Clary magari, che era tornata una giornata dalla sua famiglia per una di quelle cene in cui si mangia tanto e non si conclude niente.

No Matter [h.s.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora