10. Girasoli.

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La porta a vetri si aprì veloce, il via vai di persone non faceva che intensificarsi a quell'ora del grande giorno, e il tutto diveniva più frenetico e estenuante.

"Ross iscrivi quello" "Ross appuntati quell'altro" "Ross sii più veloce" "Ross sorridi di più"

Attimi di puro inferno aleggiavano intorno a me e i miei colleghi, tutte le divise stirate e tirate a lucido.
Succedeva sempre così nei giorni di promozione; massaggi a metà prezzo o lezioni di boxe gratis bastavano per far affluire tanta gente da non saper più come smaltirla, dovendo chiamare istruttori e intrattenitori nel momento stesso in cui i numeri diventavano troppo gonfi e ingestibili.
Dopo più di un anno di esperienza e una trentina di giorni di promozione - o di schiavitù, a detta di Megan, ovvero il mio braccio destro - alle spalle, potevo affermare di cavarmela. I clienti spazientiti e accalcati non mi intimorivano più come prima, non mi mettevano più a nudo come un tempo, con i loro occhi indagatori a giudicarti come una macchia di caffè su di una polo bianca.
E con il tempo imparai anche a godermele, quelle ore; e ci voleva poco, una canzone speciale passata su Mtv o una tazza di cioccolata bollente offerta da qualche cliente troppo gentile - o vagamente interessato a me, chissà - volgevano subito la mia giornata in meglio, come un portafortuna immaginario e segreto fatto appositamente per me.
E anche quando le mie manzioni includevano la pulizia dei bagni e degli spogliatoi di tutto il centro, mi sentivo appagata e contenta sapendo che lo facevo per una buona causa, per rendermi utile e cambiare qualcosa. Sembrava che la gente - a quel tempo pensavo fosse solo quella, la gente - sapesse perché ero sempre così solare e così determinata, mentre pigiavo i palmi sul bancone della reception o mangiavo lenta e composta i miei Puff, nascosta sulla sedia girevole dietro alla porta.
Lo doveva sapere per forza, perché altrimenti non avrei mai trovato - un giorno importante, quello prima di tutto - un mazzo di girasoli su quella sedia, affiancati da un pacchetto delle mie palline preferite e un biglietto legato vicino "Probabilmente non dovrei farlo - spronare così la mia piccola Muse ad infrangere le regole - ma amo infinitamente il modo in cui ti guardi intorno e muovi frenetica le mani. Sai chi sono, vero?"
Le mie labbra si piegarono in un dolce sorriso, grazie a quel dì di Settembre, tanto banale quanto fondamentale.
E lo sapevo, chi era; e sapevo e so ora, perché non ricevetti più fiori, da quella volta.

Il sogno che feci mi turbò tanto da non riuscirmi ad alzare dal letto prima delle dieci di mattina, ripercorrendo gli episodi come in una registrazione, le immagini focalizzate bene nella mia mente.

Neppure il fracasso che fece Clary mi spronò a cambiare il mio prospetto di giornata: quanto più possibile a letto, una colazione veloce e uno studio sfrenato - in vista del nuovo esame.

Le lezioni le saltai, non curandomi del fatto che Biologia fosse materia del giorno, e che Malik-non-ti-chiamerò-mai-Zayn probabilmente stesse sentendo "disperatamente la mia mancanza" come annunciato da lui solo qualche giorno prima.

Assolutamente incomprensibile, quel ragazzo; all'improvviso gentile e disponibile, le mani calde di chi aiuta spesso e una voce soave.

Stavo bene, con lui. I suoi modi di fare - seppur non molto chiari ai miei occhi - erano freschi e puliti, come il contorno ben marcato di una foglia o di un paio di labbra rosee e carnose.
Pulito era certamente il primo aggettivo che mi veniva in mente, pensandolo. Clary lo definiva piu "Macho", mentre Micheal parlando con la sua voce strana e divertente, semplicemente "Ridicolo".

Ma lui era pulito, un particolare lenzuolo pulito e stranamente nuovo, immacolato, come la punta di lingua che metteva tra i denti quando rideva - Clary me lo ricordava sempre - "Come se fosse un pezzo mai visto, ogni volta." E nuovo per le mani asciutte e liscie, senza pellicine o unghie mangiucchiate qua e là, semplicemente intatto e perfetto, come dovrebbe.

Ma successe una cosa, quella giornata; una cosa stupida e apparentemente senza senso, e la mia reazione lasciò perplesso lui e tutti coloro - perché lo sentivo, che osservavano - usciti dalle loro camere, dopo l'ora di pranzo.
Un mazzo di fiori. Bussò alla mia porta per portarmi un mazzo di fiori.

E lì le ginocchia cedettero, come se non potessero più sopportare il mio peso. Ma non era il mio, di peso, era il suo. Era la mia cosa migliore più importante, ad essere venuta fuori come niente fosse, venendomi derubata da uno stolto ragazzo che odorava di Marlboro e limonata - come a dire "Ehi, sono abbastanza grande e piccolo per tutto".

Perché aveva contraffatto il ricordo - il mio ultimo.

Non sarei più stata la Muse di qualcuno - di lui - perché semplicemente, ora qualcun'altro mi aveva regalato dei fiori. Ma quei fiori - le perle della natura - non erano solo quello - steli e gambi e petali -, erano un più e un meno indefinibile.

Erano quel noi sfumato e disperso nel buio del silenzio.

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Sono tornata a casa un qualcosa come un'ora fa, e - oltre a scusarmi per il ritardo - spero sia di vostro gradimento.

Un bacio❤

No Matter [h.s.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora