23. Sia Fatta Luce.

66 7 3
                                    

Questo capitolo è per qualcuno che conosco da poco ma a cui voglio veramente bene, per qualcuno che ha gli occhi lucenti, un sorriso contagioso e delle rosse ciocche ad incorniciarle il volto. È per tutti coloro che vorrebbero fare qualcosa di fronte alla sofferenza delle persone a cui tengono; questo capitolo è la mia ancora di salvezza per riuscire a dire qualcosa, per riuscire a dire quello che vorrei fare ma che non so veramente in cosa consista.
Questo, è il mio modo come un altro per dirti che non so cosa stia succedendo - non so il motivo per cui i tuoi occhi erano bassi e quel sorriso non c'era più; è semplicemente il mio modo per dirti che non serve che mi spieghi nulla - intuire fa già abbastanza male: farebbe male per me ascoltare e per te ricordare.
Questo, è il mio modo per dirti che ci sono, in una maniera insignificante: scrivendo.
Questo capitolo è una piccola lettera per te, che meriti di stare bene.
------------------------------------------

CLARY

Quando guardai l'orologio nel cuore della notte, non mi sembrò impossibile che fosse passato così poco tempo dall'ultima volta che l'avevo fatto: quattro minuti in cui pensavo di essere finalmente riuscita a sconfiggere l'insonnia.
È difficile dormire in un momento del genere, attimi il suono dei clacson e altri il silenzio della notte.
Ross dormiva, le sue coperte cosparse di stelline avvinghiate strette intorno al corpo, le testa appoggiata all'angolo del cuscino.
Aveva le mani strette sul petto, il capo quasi chinato.
La guardai a lungo prima di realizzare che non dormiva così di solito; la guardai a lungo prima di realizzare che c'era qualcosa di fondamentalmente diverso nella sua posizione.
Non era naturale.
Mi ritrovai così fuori dal mio letto, la mano a mezz'aria come a volerla toccare e assicurarmi che stesse bene.

Respira, mi dissi subito.

Anche se in realtà non avevo mai dubitato di questo.
Respirava affannosamente, però, le mani che avevano piccoli spasmi come se stesse cercando di prendere qualcosa senza riuscirci.
Mi sentivo così, guardandola: persa in ciò che la turbava.
Anche non conoscendola così bene potevi notare le mani troppo serrate e i piccoli e repentini movimenti che compiva di tanto in tanto.
Fa male vedere qualcuno a cui tieni stare così, come in una bolla di sapone o dietro a un vetro, perso in tutto quello che ha dentro e che gli fa male.
Fa proprio male vedere il dolore, mi ritrovai a pensare.
Non ci si sente mai tanto impotenti come quando te lo trovi davanti - il dolore - quando sei davanti a quella sofferenza così palpabile che un sorriso ti spaventa.
Perché in un sorriso del genere c'è un'amarezza e una profondità che ti fa perdere l'equilibrio; ti viene da distogliere lo sguardo, perché fa più male quell'espressione - quella che si definirebbe un sorriso se fosse di felicità - piuttosto che delle lacrime nere di dolore.
E quando la vedi, quell'espressione, sai di essere veramente impotente.
Sai che per quanto vorresti non basta una parola o un gesto o uno sguardo per riuscire a cambiare le cose e a migliorare la situazione.
Ma anche se lo sai, ci provi ugualmente, mettendoti ora nei panni di un piccolo clown ora in quelli di un orsetto abbraccia tutti.
Non funziona, però.
Magari all'inizio, quando sta quasi per venire fuori il suo vero sorriso, ma subito le nuvole lo coprono come fanno col sole.
E allora pensi che il sole dovrebbe splendere tutto il giorno e tutti i giorni, senza nuvole né temporali né nebbia.
Ma come fai a dire al freddo di non arrivare e al caldo di restare? Come puoi con un sorriso scacciare via demoni che una persona ha attenagliati alle ossa? Vorresti quasi scaldare il freddo che hanno nel petto, e accenderesti un fiammifero o un camino o un falò pur di riuscirci, pur di far tornare qual sorriso su quel volto e il calore in quel corpo.
Ma, ancora una volta, ti senti tanto impotente da voler sbattere la testa al muro e i piedi per terra. Osservi di sfuggita, senti quando nessuno pensa che tu lo stia facendo, e ogni attimo che passa si sprofonda in quel baratro da cui non riusciamo più a risalire.
È buio lì sotto, fa freddo.
Freddo tanto quanto sentii in quel momento, interdetta se toccarla o meno, se cercare di scaldarla in qualche modo.
Ad un tratto riavvicinai la mano al fianco, e nello stesso istante lei ebbe un sussulto più forte, come quando sogni di cadere.
Ma da fuori, anche se era nel suo caldo letto e sulla strada nevicava, sembrava proprio questo, che stesse cadendo.
Era forte, io lo sapevo bene; ma anche se così non fosse stato lo intuivi parlandoci che c'era qualcosa sotto, qualcosa più di quello che dimostrava - nascosto da qualche parte - che raccontava cose che lei aveva ben imparato a celare.
Sapevo, comunque, che era tanto forte da aggrapparsi con le unghie e con i denti a quello spiraglio di luce che le era rimasto tra il dolore, quello spiraglio che solo data la sua forza si allargava un po' di più ogni secondo, cercando di sconfiggere le tenebre del mare.

Quando mi avvicinai a lei e mi sedetti sul bordo del letto, - il cuore che mi batteva un po' più forte - mi resi conto che non avrei sinceramente saputo cosa fare.
Non ero una brava persona in queste cose, non riuscivo a risolvere i casini degli altri più di quanto riuscissi a risolvere i miei.
E i miei non li avevo mai risolti, per l'appunto.

Però si sa, che quando dici di non sapere cosa fare in realtà lo sai - c'è qualcosa che te lo dice, in fondo allo stomaco o nel petto, e basta ascoltarlo.

Lo ascoltai, allora, e mi sdraiai vicino a lei, in quel letto da una piazza e mezza che lei occupava più di metà.
Le sistemai le coperte e mi spostai al bordo del letto.

Avevo freddo, era vero.
Ma mai tanto quanto quello che mi pesava nel petto ogni qual volta che la vedevo star male, ogni volta che non c'era più un sorriso vero sul suo viso.

Mi addormentai così, dopo essermi allontanata tanto da lasciarle lo spazio di muoversi liberamente, le mani sotto la testa e le gambe un po' piegate.

"Ti vogliamo bene, ricordatelo sempre." Le dissi allora prima di chiudere leggermente gli occhi.
Non avrei sapruto dire se i suoi sussulti sparirono, quella notte.
Io dormii poco.
Dormii poco ma con la consapevolezza che standole vicino stavo meglio - meno insonnia, meno dolore.

Perché tutti le volevamo bene, e lei doveva saperlo.
Bisogna ricordare a qualcuno che sta male quanto conta.
Perché si scatena quella cosa nella tua testa, quando stai male: pensi che quel dolore che non riesci a dissimulare e quella cosa di cui sei impotente ti identifichino in ultimo.
Ma la natura dell'uomo protende verso il bene e verso la realizzazione di sé stesso, e la realizzazione è grande, nonostante il dolore e nonostante le situazioni.

Bisogna ricordare a queste persone così - quelle che riescono a farti stare bene comunque - quanto valgono.

Perché valgono tanto, veramente tanto.

---------------

isobell_, per vedere questo tag dovrai leggerlo tutto. ♡

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 09, 2016 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

No Matter [h.s.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora