21. Insieme.

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HARRY

La casa di Luke era a diversi isolati dal mio appartamento, in una di quelle zone dove sui marciapiedi sono parcheggiate auto costose e dove sui davanzali delle grandi finestre pendono sempre fiori colorati.
Già da un centinaio di metri riuscivo a scorgere le luci colorate della festa - le macchine ammassate ai bordi della strada, gruppi di persone sparpagliati ovunque.
Luke, ad appena ventotto anni, viveva in questa casa decisamente troppo grande e appariscente, alla fine di quel viottolo alberato e nascosto che stavo percorrendo proprio in quel momento, più velocemente di quanto credevo possibile.
Dava molte feste, Luke, anche se, al contrario di quel che si sarebbe potuto pensare, non gli piaceva poi così tanto bere.
Era uno di quei tipi che lo faceva per noia, perché non aveva nient'altro di meglio da fare che vedere le persone ubriacarsi mentre lui rimaneva completamente sobrio - come a volersi godere la scena.

Avevo provato così tanto a chiamare Michael in quei venti minuti di tragitto, che ad ogni vocina metallica che mi rispondeva "il cliente non è al momento raggiungibile", entravo più nel panico.
Per controllare la mia mente - il panico, la paura - soprattutto dopo che mio padre se ne era andato - dopo che la mia vita sembrava esser caduta in un pozzo senza fine - feci qualche seduta di meditazione - o pseudo tale.
In quel momento, avrei preferito aver continuato invece che abbandonare alla terza lezione.

Parcheggiai la mia piccola utilitaria dietro una fila di auto - i riflessi lucidi e cristallini della carrozzeria come lampi sferzanti nella notte, la pioggia fina a battere sul parabrezza.

Fu un tutt'uno, un attimo:
io che mi fiondavo verso l'ingresso - tra lo stretto viottolo ingombro di gente traballante - e Michael ad uscire - un ragazzo insieme a lui, stretto alla sua spalla.
Cody.

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ROSS

"Sono diversi." Avevo ribattuto con un leggero sorriso, quella mattina - al parco -, quando lui mi aveva detto che gli piacevano i miei occhi.

E in effetti era così, i miei occhi erano diversi tra loro come se appartenessero a due persone diverse - come a rappresentare il mio cambiamento più grande.
Perché era così, sembrava che mi ricordassero ogni giorno cosa stavo perdendo - il celeste e il grigio a mangiarsi piano quel verde intenso che ero prima.
Nessuno sapeva spiegarselo, anche se il dottor Cernha aveva accennato ad una possibile operazione in grado di bloccare quest'avanzata repentina - come se la mia cecità fosse sul fronte di guerra con ventimila uomini più dei miei (la mia sconfitta a decretare la mia perdita totale della vista) -, ma poi aveva pure accennato ai costi, e, allora - se prima era un forse, anche minimo (una piccola speranza nel mio cuore) - era diventata un'altra di quelle cose che non avrei potuto mai fare.
L'occhio sinistro - completamente azzurrino, fatta eccezione per qualche piccolo alone verdastro - era stato colpito più del destro - rimasto invece quasi più incolume - con cui riuscivo addirittura a vedere qualche ombra.
Non che io mi sarei potuta guardare gli occhi per vedere tutti questi minuscoli cambiamenti.
Clary sì, però, e aveva infatti deciso di immortalarli tutti in scatti non proprio da professionista.
Diceva di farlo perché così, il giorno in cui avrei rivisto tutto, sarei riuscita a vedere anche come ero e come ne ero uscita.
È sempre stata quella con più forza, tra le due.
Anche quella più fantasiosa.
Quanto mi mancava.

I capelli mi oscillavano leggermente col vento, mentre giocherellavo con il bordo della mia maglia lunga - il mio corpo ritto e teso davanti a lui.
"La diversità è meglio di quel che sembra." La sua voce era un sussurro - un sussurro duro, come se non volesse veramente tirare fuori quelle parole. Era lontano, troppo lontano da me - almeno un metro e mezzo - ma sentii comunque.
"Sembra una di quelle frasi da biscotto della fortuna." Sorrisi ancora, continuando a guardargli attraverso.

No Matter [h.s.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora