2. Disavventure

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Non ero mai stata una persona troppo pessimista, né prima e né dopo il fatto. Nemmeno in quel momento, quando realizzai che le risa che mi circondavano erano probabilmente indirizzate a me.
Ma cosa vuoi che siano, un paio di ridacchi, in confronto a quello che hai passato?

La mia coscienza faceva il suo lavoro, ogni tanto.

Che poi è proprio così, la realtà: ci sarà sempre un male peggiore che ce ne farà sminuire un altro, anche se ingiustamente.

Ma ogni male, ogni male, ha il suo perché e la sua ragione di essere considerato.

Ed anche quelle risatine sommesse provenienti da quella gente poco matura, dovevano essere valutate per ciò che erano, senza vedere al passato e al resto.

Perché è dolore anche questo.

Vedere - percepire, forse - che il mondo intorno snobba il tuo essere basandosi su di un prima che molti - la maggior parte - non conoscono affatto.

È come quel pugno nell'occhio - giusto per cambiare - che mi diede Miriam l'anno passato.

Uno scherzo, un gioco, diceva.
Vorrei vedere quanto divertente sarebbe se ti strappassi un orecchio, avrei voluto dirle.

Ma non lo feci, non lo feci perché non era niente.

È il niente, il vuoto che frega.

La chiarezza di un qualcosa - una cornice, un comodino, una lampada - non fa altro che spegnere il cervello e dare per scontato tutto, ci tranquillizza.

Ma l'indefinito, a cui non riusciamo ad aggrapparci e non riusciamo a capirlo e stiparlo in quel cassettino d'archiviazione che abbiamo in testa, ci distrugge. E potrebbe essere qualsiasi cosa, qualsiasi cosa.

Come pensiamo sia quel qualcosa condiziona ciò che vediamo.

Probabilmente era con questa filosofia che la gente si rapportava in quel modo con me.

Pensavano fossi persa, malata, magari anche contagiosa, chi può dirlo.

E si comportavano di conseguenza, come se avessero voluto allontanare un cane con la rogna.

Ma non potevo, non potevo vivere con questo peso di essere chiamata la malata. Dovevo cambiare.

Cambiare me e gli altri, cambiare quello che volevo e dovevo dimostrare alle persone. Perché tutti i miei organi e la mia pelle e il mio cervello richiamavano a gran voce quello spazio che era mio, quel posto nella piccola società quotidiana che tanto mi ero sudata.

E il cambiamento arrivò da subito, le mie gambe si fecero forza e alzarono il mio corpo, quasi automaticamente. Le mie mani corsero subito al mio zaino, tastando che non si fosse aperto, e un po' dolorante ma nuova, già nuova, mi incamminai nell'affollato corridoio, verso l'aula di Biologia.
E verso la nuova me, pensai.

No Matter [h.s.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora