Quando la porta si richiuse, lasciando chiunque l'avesse aperta al gelo, proprio vicino a me, il mio stomaco e io mio cuore fecero una capriola.
Maledetto sesto senso.
Dei passi si fermarono distanti da me, verso sinistra, e quasi contemporaneamente un odore acre di fumo annebbiò le mie narici.
"Me ne passi una?" Chiesi con voce ferma, ormai in piedi, con le gambe incrociate.
"Dovrei?" Replicò, annoiato. L'unico rumore era dato da lui che aspirava lento la sua sigaretta, coordinato alle sue dita, che battevano piano chissà dove. Neppure il vociare di prima, c'era più.
"Dovresti." Sussurrai.
"Tu invece, no. Non dovresti fumare." Ribattè, le parole che si disperdevano tra noi, come i miei pensieri.
"E perché mai? Non morirò di certo per quella." Tirai la giacca, cercando invano di coprire le mie mani.
Era corta, accidenti.
Possibile che essendo a pochi passi da colui che scatena in te così tanto, tu non faccia altro che pensare al freddo?
Scandì chiara la mia coscienza.
La parola escamotage non l'aveva mai sentita neppur nominare?
Potrei dare un nome alla mia cosa parlante, pensai.
Immagina una cosa fastidiosa.
Immagina una cosa fastidiosa, mi dissi.
E in un lampo, mentre le mie meningi spremettero fuori la parola Zanzara, e pensai che probabilmente Zanzy sarebbe stato più che adatto, il ragazzo parlò, sul mio viso una maschera di rabbia.
"Ma figurati se mi potrebbe interessare la tua morte. Lo dicevo perché sei una ragazzina, e le ragazzine non fumano."
Colpita e affondata, pronunciò Zanzy.
Mi diedi un colpetto sulla nuca. Si poteva sterminare quella vocina? Lo speravo vivamente.
Intanto, mentre nella mia testa si combatteva una segreta battaglia tra me e Zanzy, nel mio cuore - colpito ma forse ancora non affondato per lui - un'altra grande rivolta stava facendo contorcere le mie membra e prudere le dita, come una di quelle grandi speranze che la gente si porta dietro anche quando sa che, oramai, sarebbe potuta essere considerata un eufemismo.
Non mi disprezza come sembra.
Gridava a gran voce il mio cuore, come se milioni di unghie lo stessero penetrando e graffiando.
E poi, più sommessamente, con la paura attaccata alle sue pareti, sussurrava una breve e indistinta parola in grado di distruggere e costruire ogni cosa, se solo avesse voluto.
Vero?E dopo il mio cuore - perennemente in ritardo e con la testa altrove - arrivai io, le mani veramente strette al petto graffiandolo.
I pensieri cominciarono a inondare tutto il mio corpo, facendosi spazio nel vestito e nelle ballerine e nella giacca, non lasciandomi scampo.
Non era possibile che la sua pelle e le sue braccia e addirittura le sue dita che si muovevano frenetiche volevano cacciarmi e chiudermi fuori da lui.
Non era semplicemente possibile, io lo avevo sentito, lo avevo sentito ormai.
Avevo sentito cosa metteva - come si metteva - in gioco, mentre la sua voce attraversava grave le parole, il fiato nel microfono che rimbombava dappertutto.
Perché non era possibile che non lo sentisse anche lui - l'amore umano, quello che comincia nella parte fisica del cuore, nella materia in sé, per poi spostarsi altrove, dove tutto muta e migliora.
Dove diventa forte e pulsante, dove semplicemente, il sentimento vince.
E davvero lui non sentiva questo?
Non sentiva come ogni fibra di me pendesse da lui, anche inconsciamente?
La mia bocca allora, senza neppur cercare di ribattere alla sua precedente affermazione - quel ragazzina ripetuto e sussurrato tra i denti, come se per me fosse stato troppo anche quello, ragazzina - si aprì, dando fiato ai miei pensieri.
"Mi odi?" La voce un misto di preoccupazione e incertezza.
"Forse. Hai motivi per cui non dovrei farlo? Sei sempre fra i piedi e non mi stupirei che questa sera fossi venuta solo per pedinarmi." Rispose pacato.
Non avrei saputo dire se avesse finito la sigaretta - se l'avesse già schiacciata al suolo con le sue rumorose scarpe o se l'avesse avuta ancora tra le labbra.
"Ti ho sentito." Pronunciai lenta, la lingua che toccava appena il palato.
"Lo so. Vedi, sto parlando, è normale tu mi senta." Disse con scherno.
Avrei giurato sapesse perfettamente a cosa facevo riferimento.
"Intendo mentre cantavi. Ti ho sentito mentre cantavi." Misurai le mie parole, non volendo dire qualcosa di cui a breve, mi sarei potuta pentire.
"Ed è normale anche questo, hai le orecchie. Tutti possono sentire una voce che canta." Ribattè, il tono annoiato e distratto.
"Comunque hai fatto diventare i miei cinque minuti di relax una noia mortale. Non ti smentisci mai, ragazzina." I suoi passi si avvicinarono a me, lenti e sicuri.
Prima che potesse andarsene - sbattere la porta affianco a me e sparire, come inghiottito da tutte quelle persone scalmanate - glielo dissi, senza rimpianti o ripensamenti.
"Non cantavi con la voce."
E nel momento esatto in cui ciò riempì lo spazio tra noi, si immobilizzò, e con lui anche il suo respiro.
"No, non è così. Era la mia voce e nient'altro." Sillabò con i denti stretti, mentre io nascondevo il mio viso con i capelli.
"Un pezzo di te, sembra molto più che nient'altro." La mia voce un sospiro di freddo.
A quel punto tirò a se la grande porta, il cigolio inconfondibile fece una sorta di eco nel vicolo stretto.
E lui rispose, entrando, il suo pensiero che si confondeva con la musica e il vento e lui stesso, come se gli fosse costato non poco ammetterlo.
"Non dovevi vedermi, era il mio segreto."
E scappò, non lasciandomi il tempo neppure di un passo.
I miei occhi vedono quanto sei a pezzi, avrei voluto rispondere, come a celare una innocua contraddizione: se il mio sguardo non arrivava alla tua figura, probabilmente non sembravi così rotto, al di fuori.
Il mio cuore, quello anche vede tutto, avrei poi continuato.
E il cuore vede attraverso ogni cosa, anche tra la bella scocca di un'armatura.
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YEEEEEEY
Sono quii.
Iniziamo col dire che OH MIO DIO più di 4K letture. Sono morta, dico sul serio.
Grazie grazie grazie, e non saranno mai abbastanza per ringraziarvi.
Tornando al capitolo, spero sia di livello appropriato per il compito che deve svolgere ouo
So, ci vediamo presto aw
❤