Il baratro è profondo, ma tu mi hai insegnato a scalarlo... (Reyco. #BroOTP.)

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La mia amicizia con il legato di Plutone nacque in modo strano, molto strano. Non nacque con le classiche formule ripetute da tutti i bambini e i ragazzi del mondo, "Ciao, sono Reyna. Tu come ti chiami?"; "Io Nico. Che bel nome che hai!"; "Grazie, anche il tuo è carino!", o tramite i classicissimi amici in comune (anche se poi scoprimmo di averne non pochi), no, la nostra amicizia semplicemente... Nacque. Non nacque per un motivo, per un perchè, tramite qualcuno.
Nacque e basta.
Come può nascere una piantina nel cemento.
Il nostro primo incontro fu il classico incontro che ho con tutti i novellini, nonostante quel ragazzino avesse qualcosa di diverso dagli altri. Si ostinava a dare risposte vaghe, non è che rispondesse a monosillabi, ansi, tutt'altro, dava risposte lunghissime, senza mai dare una vera e propria risposta, senza mai rispondere per davvero, come se avesse qualcosa da nascondere, qualcosa di grosso. E poi, il dolore trattenuto che vidi nei suoi occhi, la postura sempre all'erta, il tono tagliente, tutto in lui mi parlava di una persona che era stata ferita ed aveva paura di essere ferita un'altra volta. Dall'amore forse, o dalla vita in generale.
Ma non mi feci problemi. Era un ragazzo che aveva sofferto. Amen. Chissà quanti se ne incontravano, quanti ne avevo incontrati, per la Legione. Lo mandai da Ottaviano. Per me era un sì, c'era bisogno di vedere se gli dei erano d'accordo.
Poi, più o meno il resto è prevedibile, gli dei po accettarono, come la Quinta Coorte e la Legione ottenne un nuovo legionario, un nuovo soldato pronto a dare la vita per la patria, un nuovo eroe.
Col passare dei giorni, il legato di Plutone mi sorprese nuovamente. Scoprii, non so se con piacere o con una punta di fastidio, che anche a lui piaceva il mio piccolo angolo di Paradiso, i Giardini di Bacco.
Non so esattamente chi fece il primo passo, chi iniziò ad attaccare bottone, anche perchè con due caratteri come i nostri è difficile persino tirate ad indovinare. Forse nessuno dei due prese l'iniziativa, forse in quei giorni in cui riuscivo a liberarmi dai miei impegni, in quei giorni in cui sentivo il bisogno di scappare via, anche se è impossibile scappare da me stessa, in quei giorni che passavamo insieme, entrambi a sentire la fiamma della solitudine dilaniarci l'anima, imparammo a conoscerci più di quanto avessimo voluto, ci esponendo più di quanto dovessimo.
Poi, il resto è storia. Ci ritrovammo a trasportare una statua per mezzo mondo, con una tappa molto gradita dalla sottoscritta a Puerto Rico, precisamente a San Juan, dove finalmente riuscii ad aprirmi, a dire a qualcuno ciò che mi portavo dentro. Il resto, ripeto è una storia che c'è nella nuova edizione dei libri di storia che vendiamo al Campo Giove e al Campo Mezzosangue.
La nostra amicizia è un'amicizia strana. Ci basta un gesto per capirci e un'occhiata per mandarci al Tartaro.
La nostra amicizia è fatta più di "Non voglio vederti mai più!" che di "Ti voglio bene!".
La nostra amicizia è fatta più di pugni che di abbracci.
La nostra amicizia è fatta più di pianti che di risate.
La nostra amicizia è fatta più di litigi che di baci sulla guancia.
Questo perchè io non voglio una persona con cui dover indossare l'ennesima maschera, non sono un attore, santa Bellona!, ma una persona che riesca, nonostante le mie proteste, a farmela togliere.
E Nico Di Angelo è questa persona.
Nico Di Angelo è la persona con cui litigo sempre.
La persona con cui non parlo per giorni.
La persona a cui rivolgo i peggiori insulti.
La persona che delle volte mando al Tartaro.
La persona con cui alzo la voce costantemente.
La persona con cui faccio a botte.
La persona che mi porta all'esasperazione.
La persona che mi suscita istinti omicidi.
E questo perchè Nico, il mio piccolo nano, è l'unico che mi urla in faccia che dovrei ridere, che dovrei sorridere, che dovrei smetterla di tenermi tutto dentro, che dovrei smetterla di fingere che vada tutto bene, che dovrei smetterla di pensare che sia un errore, che dovrei smetterla di odiarmi, che dovrei smetterla di pensare che sia colpa, che dovrei smetterla di accollarmi tutte le colpe, che dovrei smetterla di essere così dannatamente intrattabile, che dovrei smetterla di essere così matura. Mi urla dietro che dovrei smetterla di morire dentro e di iniziare a vivere.
Un figlio di Ade che parla di vivere... Buffo, no?
Eppure, lui lo fa. Mi obbliga a pensare a me stessa. E lo odio per questo. Lo odio e lo adoro.
E amche io faccio così con lui. Lo prendo a botte, lo insulto, ci litigo, perchè anche lui deve smetterla di essere come me.
E lo so che questa amicizia, un'amicizia in cui andiamo a scazzo ogni santo giorno, potrebbe non avere senso per chi non la vive.
Ma, fidatevi, quando troverete una persona che nonostante i "Vai al Tartaro" rimane ancora là, una persona che nonostante i lunghi silenzi riesce ancora a parlare con te come se nulla fosse successo, una persona che nonostante le urla e i piatti rotti dalla rabbia riesce ancora a sussurrarti un "Ti voglio bene e ci sarò per l'eternità.", una persona che nonostante i pugni incassati e restituiti riesce ancora  a farti poggiare la sua testa sulla spalla e a lasciarti piangere in silenzio, una persona che nonostante gli insulti continui a considerarti una delle meraviglie della sua vita, beh, capirete di aver trovato il vostro migliore amico.
Perchè allora non sarà solo amicizia, allora saranno pianti, urla, pugni, risate, sussurri, abbracci. Allora non sarà l'affetto ad unirvi, allora sarà il bisogno dell'altro per andare avanti.
Una volta dissi a Nico che noi  siamo come una persona sull'orlo di un precipizio, appesa con una mano ad una sporgenza, l'ultima prima del baratro. Quella sporgenza, gli spiegai successivamente, era la mano dell'altro, l'ultimo appiglio prima dell'autodistruzione.
Lui, un'altra volta, mi disse che noi non eravamo piú amici, ma eravamo qualcosa di più profondo, qualcosa che non si  poteva più definire. Era come se fossimo fratelli, provò a spiegarmi poi, era come se uno fosse il custode dell'anima dell'altra, come se uno fosse la guida e la guardie del corpo dell'altra.
Lo adorati per quello come lui affermò di aver adorato me per la frase di sopra.
Quindi, eccomi quà. La grande pretore Reyna Avìla Ramizèr Arelano, il giorno di San Valentino, con le lacrime agli occhi per uno stupido foglietto di carta scritto in inglese con una grafia a dir poco infantile tipica del proprio migliore amico.
Un unico bigliettino con su scritta una poesia di due semplici versi che vale più di ogni poeama di Virigilio.
"The chasm is deep, but you taught me to climb it,
thank you, best friend, for always being with me."

Cronaca rosa del Campo Mezzosangue e Campo GioveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora