Capitolo 22: Spensieratezza

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Joey

Se potessi scendere alla spiaggia ogni giorno lo farei: l'oceano e la brezza leggera al tramonto infondono pace alla mia anima. Prima di raggiungere la tavola calda, una volta lasciato il campus, io e Jesse ci siamo fermati di nuovo sulla scogliera dove mi aveva raggiunta l'altro giorno e mi ha fatto piacere sapere che è uno dei suoi luoghi preferiti. Mi ha raccontato che spesso si ferma lì per guardare il sole calare all'orizzonte e riflettere in tranquillità; è stato bellissimo immaginarlo in uno di quei momenti, anche se, come al solito, non riesco a tenere a freno la mia curiosità nel chiedermi su cosa si soffermi a riflettere. Siamo arrivati al Bar del Porto con la moto di Jesse e ora siamo seduti l'uno di fronte all'altra, sui divanetti rossi, al tavolo che si affaccia sul molo, oltre la finestra del locale. Non c'è molta gente e la radio trasmette di sottofondo vecchi brani musicali anni '80: amo la spensieratezza che riesco a provare e respirare in questo locale, nessuno mi conosce e io posso essere chi voglio, senza dover badare all'apparenza o dover fornire spiegazioni; posso entrare sentendomi di qualsiasi umore e uscire più rilassata, con la convinzione che, non importa cosa io debba affrontare, anche se c'è molto a cui pensare non c'è niente di cui preoccuparsi.

"Questo è uno dei miei posti preferiti: puoi venire indossando una tuta comoda, sederti rilassato e ordinare un salutare hamburger" gli confesso. "Allora non segui la dieta di una foglia di insalata al giorno e un vasetto di yogurt come le altre ragazze" scherza lui. "Facciamo così: stasera la nostra cena sarà unicamente a base di dolci, ordineremo solo quelli. Qui non c'è una grande varietà di piatti e i dessert solo l'opzione più sicura" mi sporgo verso di lui sul tavolo per proporgli sottovoce ciò che ho sempre desiderato fare. Lui ride e accetta e così, dopo aver consultato il dépliant dei dolci, riferiamo le nostre scelte alla cameriera. Jesse mi stupisce iniziando per primo la conversazione: "Piace anche a me questo locale: è il primo posto qui in California che mi ricorda un po' Chicago" si guarda intorno annuendo tra sé. Io colgo subito l'occasione per scoprire di più su di lui e la sua storia, dal momento che non accenna mai nulla della sua vita prima di frequentare il college: "Senti la mancanza della tua città? Ti piaceva stare lì?" azzardo, prevedendo non voglia affrontare l'argomento come al solito, invece mi racconta: "Chicago mi piace, è la città adatta a me, un po' cupa e fredda, ma non era più il mio posto, avevo bisogno di cambiare aria e, anche se non vorrei ammetterlo, la California non è poi così male, sono felice di essere venuto qui" mi guarda fisso negli occhi, accennando un sorriso dolce e il mio stomaco è attraversato da mille farfalle quando capisco che si riferisce a me. "E la tua famiglia?" rischio nel chiedergli di più e mi fa piacere constatare che si senta abbastanza a suo agio con me da aprirsi più del solito: "Mio papà se ne è andato quando ero piccolo, ma non mi è mai dispiaciuto troppo, non lo ricordo molto e forse è stato meglio così. Vivevo con mia mamma e mio fratello maggiore, ma lui è andato via di casa prima che venissi qui e mia mamma ora vive con il suo compagno" mi spiega, mentre lo vedo incupirsi. "Ti mancano?" chiedo. "Mio fratello Tyler sì, decisamente, mi ha sempre guardato le spalle ed è stata dura vederlo andarsene e dover crescere all'improvviso, se così si può dire. Mia mamma, bé, sono convinto non le pesi la mia assenza, quindi non ci penso molto e inoltre il suo nuovo compagno non mi è per niente simpatico" mentre parla si guarda le mani che tiene intrecciate sul tavolo davanti a sé, ormai evidentemente a disagio. "Le famiglie fanno schifo" mi lascio sfuggire; lui scuote la testa, come per scacciare brutti pensieri e alza lo sguardo su di me: "E questa convinzione l'hai maturata mentre eri sdraiata a bordo piscina nella villa padronale dei tuoi genitori?" ecco di nuovo nella sua voce quel tono duro e amaro, ma non cattivo. "Quale piscina intendi: quella idromassaggio o quella con vista panoramica?" lo provoco, prendendolo in giro ironica; Jesse si rilassa abbassando le spalle e mi rivolge un sorriso di scuse. "La mia casa è il posto dove mi sono sentita soffocare in ogni momento mentre crescevo e, egoisticamente, ho sempre pensato quanto fosse brutto non condividere questa sensazione con nessuno, non avendo fratelli e sorelle." Lui annuisce e so che è il primo a potermi capire davvero. Poi senza pensare gli chiedo: "Perché sorridi così raramente? Guardi il mondo con occhi cinici e scettici, come se non ci fosse nulla che valesse la pena" rifletto ad alta voce. "E invece qualcosa c'è? Tu non la pensi così?" la sua domanda è sincera. "Io credo che per quanti orrori e ingiustizie ci siano al mondo, c'è sempre qualcosa di meglio, è possibile trovare qualcosa che valga davvero la pena" ammetto convinta e lui mi sorprende alzandosi leggermente e sporgendosi sul tavolo, per mettermi una mano dietro la nuca e baciarmi: "Una cosa l'ho trovata" dice guardandomi con due occhi azzurri e brillanti a me familiari "e non è vero che non sorrido" afferma, rivolgendomi il sorriso più bello che abbia mai visto; un sorriso che lo rende più giovane e lo fa sembrare un bambino spensierato, mentre io non posso fare a meno di chiedermi se effettivamente lo sia mai stato.

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