Jesse
È tardo pomeriggio e la caffetteria è semideserta; sono seduto sul comodo divano in pelle marrone con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani congiunte, mentre sul tavolino di fronte a me c'è un bicchiere pieno di espresso fumante appena fatto. Mi volto verso Ben, che è al mio fianco, stranamente in silenzio, da circa un quarto d'ora e mi osserva pensieroso. "Sei pronto?" mi chiede con tono solenne. Domani notte si terrà la corsa, eppure io riesco solo a pensare che trascorrerò quest'ultima sera con Joey. "Non è la prima volta Ben, non sono un novellino" gli rispondo inespressivo; la testa mi sta scoppiando: negli ultimi giorni non ho fatto altro che pensare a questa fottuta decisione che ho preso, mettendola in discussione mille volte, perseguitato dallo sguardo deluso di Joey. Non la vedo da quando ha accettato di incontrarmi questa sera e sono combattuto, perché so già di volerla più di ogni altra cosa, ma ho anche il presentimento che dopo la gara nulla sarà più lo stesso, non potrà esserlo, e non riesco fare a meno di chiedermi come si senta lei al pensiero di passare la notte con me. "E dai Jesse!" Ben, sprofondato contro lo schienale del divano, si sporge in avanti per guardarmi dritto negli occhi: "Smettila di fare il duro! Puoi toglierti quella maschera quando sei con me, non c'è niente di male nell'ammettere di aver paura di perdere qualcosa." Mi strofino il volto con le mani per poi voltarmi di lato e ricambiare con intensità il suo sguardo; dopo infiniti secondi di silenzio ammetto: "Ho paura di perderla. Non la gara, ma lei." "Immagino che Joey in questo momento abbia più paura di te, perché questa situazione non dipende da lei" riflette Ben a bassa voce. Alzo gli occhi al cielo esasperato: "Grazie Ben, davvero, così sei di grande aiuto!" Lui ride sommessamente e per una volta mi fa piacere sentire quella risata idiota, che alleggerisce lievemente il peso che ho sul cuore. "Quello che sto cercando di dirti" si spiega "è che Joey è davvero presa da te. Non ha mai avuto nessuno che tenesse davvero a lei, in maniera sincera, ma soprattutto disinteressata, senza intenzione di ferirla, ma volendo semplicemente amarla." Sgrano gli occhi nel realizzare che quelle parole hanno uno spessore non trascurabile se pronunciate da qualcun altro e questo un po' mi spaventa, mentre Ben prosegue: "Tu hai visto oltre l'apparenza di ragazzina ricca e viziata e Joey ha visto ciò che c'è dentro di te, qualcosa di buono di cui tu evidentemente dubiti l'esistenza." "Non è così semplice Ben" lo interrompo "io non credevo di poter provare per qualcuno quello che provo per Joey e non potevo immaginare che qualcuno si legasse tanto a me. Questi mesi sono stati fantastici, ma mi è sembrato di vivere la vita di qualcun altro, di recitare, di subire passivo le decisioni prese da altri che mi hanno portato qui. Per tutto questo tempo è come se non avessi avuto in mano la mia vita, non fino a quando ho accettato..." "Di mandare tutto a puttane partecipando a una stupida corsa clandestina?!" Ben mi interrompe con tono alterato: "E' così che ritieni di avere in mano la tua vita? Nel poter decidere di autodistruggerti e privarti di ciò che ti fa stare bene e ti rende felice? Jesse, viviamo la vita che scegliamo. Abbiamo l'opportunità di scegliere l'esistenza che preferiamo, ma per questo ci vuole coraggio e bisogna accettare qualche sconfitta, sono necessari compromessi e ci si deve spingere oltre lo spazio conosciuto. Così hai davvero in mano la tua vita." Lo guardo alzando un sopracciglio, sorpreso da questo suo inaspettato sfoggio di saggezza. Eppure, mi hanno sorpreso più volte le persone che ho incontrato in questo lussuoso college californiano, di quelli con cui sono cresciuto, che conosco da sempre e che ritenevo essere la mia famiglia. "Non ti ho nemmeno mai chiesto dei tuoi genitori né da dove vieni" mi rivolgo a Ben dopo qualche minuto, invitandolo implicitamente a raccontarmi qualcosa di sé e ammettendo colpevole di non essermi mai interessato né interrogato sulla vita del mio compagno di stanza fuori da questi cancelli. "Nulla di interessante" scolla le spalle "niente giri loschi, niente arresti minorili, ma nemmeno multiproprietà a Saint Moritz o a Saint Tropez e nessuna collezione di auto da corsa." Scherza come al solito, poi si fa serio e dopo qualche istante continua: "Sono di San Diego e anche la mia famiglia vive in periferia, in una villetta di cui i miei genitori devono ancora saldare il mutuo, insieme alle rate del prestito da restituire alla banca, per aver pagato la retta della West Coast University e avermi permesso di proseguire gli studi." Parla con voce bassa, quasi timida, ma è toccante notare l'affetto e la gratitudine che esprime nei confronti della sua famiglia. "Frequentare il liceo nella mia città non è stato male, ma avevo bisogno di mettermi alla prova lontano dal posto dove sono cresciuto e in ogni caso non ho lasciato alle spalle forti legami di amicizia. Sento la mancanza solo della mia sorellina di dieci anni, è la bambina più intelligente, curiosa e brillante!" conclude con entusiasmo ed è bello sapere finalmente qualcosa di più sul conto di Ben. Mi sento un'idiota egoista per non essermi interessato prima, ma ora viene confermato quello che ho sempre intuito di lui: è un bravo ragazzo, umile, ma intraprendente e mi rendo conto che ha avuto più coraggio lui a vivere la sua vita di quanto ne abbia mai avuto io nell'affrontare i bastardi del mio vicinato con coltellini, pugni e calci. Decido così di fare ciò che non ho mai sperimentato prima e cioè aprirmi con qualcuno: "Sono qui per un accordo fatto con il giudice durante il processo in seguito al mio arresto: sarei dovuto finire in riformatorio, ma un mio vecchio professore si è incaricato di procurarmi una borsa di studio per questa università e di farmi studiare qui per scontare la pena." Parlo velocemente, spiegando la mia situazione in maniera concisa e incompleta, senza incrociare lo sguardo di Ben e provando per la prima volta vergogna. Quando trovo il coraggio di voltarmi, vedo Ben che mi osserva titubante, per poi chiedere con voce incerta: "So che questa domanda non va mai rivolta agli ex carcerati, ma ti avevano arrestato perché..." Rido di fronte al suo timore ironico, felice di potermi rilassare almeno un poco: "Non ho rapinato banche e non ho sparato a nessuno, mi spiace deluderti" scherzo amaramente "ho aggredito il compagno violento di mia madre" ammetto poi con un tono ancora più amaro. Ben torna serio e resta in silenzio per un po', infine conclude: "Allora vedi che le decisioni giuste le sai prendere, devi solo saperle eseguire nel modo migliore, che non ferisca gli altri e soprattutto te stesso, e che inoltre sia per lo meno legale" sorride di nuovo "e ora vai da Joey, a fare almeno un'altra cosa giusta, prima di gareggiare contro la tua stessa testardaggine."
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CHI NON RISCHIA NON VINCE
RomansaSTORIA COMPLETA (Fan Fiction: The O.C.) (Prequel de IL CORAGGIO DI AVERE PAURA) Jesse, un ragazzo della periferia di Chicago ormai quasi ventenne, ha imparato presto a colpire duro almeno quanto fa la vita per sopravvivere nel posto in cui è cres...