Capitolo 77: Risvolti inattesi

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Jesse

È come se una tonnellata di pietre continuasse a precipitarmi sullo stomaco senza pietà. Non riesco a percepire altro. Gli anfibi con cui quel dannato motociclista continua a colpirmi devono avere la punta rivestita di ferro, non c'è altra spiegazione per il dolore lancinante che provo ogni volta che assesta un calcio nel mio stomaco. Porca puttana, di pugni e calci ne ho presi tanti in vita mia, ma non ricordavo facessero così male! Sarà che questa volta non voglio reagire, non avrebbe senso, non stasera. Questa volta voglio solo subire. Me lo merito. L'uomo basso e tarchiato, sempre con indosso gli occhiali da sole e la bandana, si è fa aiutare dai suoi soci e così l'istinto di autoconservazione mi porta a coprirmi il volto con le braccia, tentando impulsivamente di proteggermi dai pugni che mi tirano ogni volta che tento di sollevarmi.

È andata proprio come prevedevo e del resto anche questa banda di motociclisti folli non aspettava altro che un pretesto per innescare una rissa. Non hanno detto nemmeno una parola mentre mi trascinavano nel parcheggio sul retro del locale, dopo che al capo è bastato fare loro un cenno affinchè lo seguissero. Non appena ha notato che mi ero avvicinato alla sua compagna e che ci stavo provando con lei senza mezzi termini, quell'uomo ha reagito e da come sta andando sembrerebbe che entrambi abbiamo ottenuto ciò che cercavamo: lui e i suoi soci hanno l'opportunità di sfogarsi e io quella di sperare che il dolore mi permetta di concentrarmi su qualcos'altro, dimenticando i miei rimorsi.

Tutto lo scotch che ho buttato giù nel corso della serata sembrerebbe attenuare un po' il dolore delle botte, ma contemporaneamente mi offusca la vista. Percepisco l'asfalto duro sotto di me, mentre vengo tirato su per la maglietta da un tizio che mi sfonda il naso con un pugno, per poi risbattermi a terra. Faccio per mettermi su un fianco nel tentativo di alzarmi, ma invano, perché un altro mi costringe a raggomitolarmi su me stesso a furia di calci sul torace. Ormai ci rinuncio. Rinuncio ad alzarmi e a reagire e il capobanda sembra addirittura capirlo, infatti sento la sua voce roca per la prima volta quando pronuncia con tono fermo: "Basta!" Alza un palmo della mano e i suoi tre soci si fermano immediatamente. Faccio fatica a tenere gli occhi aperti, forse per l'alcol o forse per le botte. Momenti di oscurità si alternano ai flash in cui le luci della strada, su cui si trova il pub, mi accecano, permettendomi semplicemente di scorgere i motociclisti allontanarsi.

Me ne sto così, sdraiato sul cemento nel bel mezzo del parcheggio e potrei giurare che sotto i lividi si possa scorgere la mia espressione soddisfatta: ho davvero toccato il fondo. Sono un bastardo masochista che ha deciso di sfruttare il suo unico talento: quello di mandare tutto a puttane. Sento le palpebre farsi sempre più pesanti e anche i rumori delle auto che sfrecciano sulla statale sembrano attutirsi. Sto per perdere i sensi, lo so, eppure mi sembra semplicemente di stare per addormentarmi, quando una voce lontana pare richiamarmi alla veglia; la sento man mano sempre più vicina, finchè come un boato mi rimbomba nelle orecchie: "Carter! Cazzo alzati, devi venire via!" Mi sento afferrare per la felpa con quella che mi sembra una violenza estrema; distinguo la voce che continua a parlare, ma non capisco cosa stia dicendo, eppure non mi pare nuova; vedo davanti a me un'ombra i cui lineamenti mi sono anch'essi familiari, tuttavia non riesco a distinguerli né a riconoscerli. Qualcuno mi ha appena aiutato ad alzarmi da terra; deve essere un uomo, considerata la forza; mi appoggio a lui e poi è il buio totale.


"Jesse! Jesse cazzo apri gli occhi!" Quella voce è tornata a irrompere nel mio sonno profondo. Mi sembra provenga da molto vicino, come se qualcuno mi stesse gridando direttamente nelle orecchie. Percepisco un certo calore, infatti non mi trovo più in strada, ma al chiuso, eppure contemporaneamente capisco che mi sto spostando. Sono sul sedile del passeggero di quello che sembrerebbe essere un furgone, ma che scopro poi trattarsi di un enorme pickup. Qualcuno mi strattona il braccio sinistro, costringendomi a tenere gli occhi aperti: "Jesse, devi restare sveglio. Mi hai capito?!" percepisco ansia e angoscia nella voce maschile del conducente che guida ad una velocità folle, spostando gli occhi dalla strada a me e viceversa, come impazzito. Poi improvvisamente riacquisto la lucidità, ma faccio a mala pena in tempo a capire cosa sta succedendo che sono costretto a gridare a mia volta: "Daniel ferma la macchina! Ferma immediatamente questa fottuta macchina!" "Ma che cazzo...?!" sbotta lui, ma non fa in tempo ad aggiungere altro, perché, appena accosta sul ciglio della strada, apro la portiera e mi fiondo fuori dal veicolo, sporgendomi in avanti con le mani sulle ginocchia e vomitando tutto l'alcol che ho bevuto e che le botte mi hanno fatto tornare su. Resto così per qualche minuto e quando mi alzo e torno in auto, poggio la testa contro il sedile e faccio respiri profondi. Daniel al mio fianco guarda dritto davanti a sé e non capisco se la sua espressione sia spaventata o semplicemente incazzata, ma realizzo che forse è entrambe le cose. "Posso ripartire?" mi chiede dopo un po', senza aggiungere altro, e quando io annuisco, rimette in moto il suo pickup.

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