Capitolo 36: Dolce tortura di un angelo all'inferno

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Jesse

Si può essere perseguitati da un angelo? Perché evidentemente il cielo ha qualcosa contro di me, dal momento che non solo mi costringe a vivere all'inferno, tormentato dai miei demoni, ma mi inganna anche, mandando un angelo e facendomi inizialmente credere di aver ottenuto una salvezza, che, nel modo più improvviso e inaspettato, si rivela essere invece la tortura più dolce che mi sia mai stata inflitta. Ma pur sempre una tortura. 

Cazzo, ma cosa ci fa qui?! Perché Joey è venuta a Chicago? La principessa di Beverly Hills non poteva restarsene nella sua adorata e assolata California invece di scendere nei bassifondi più freddi e di spingersi fino alla periferia della legalità? Forse ho avuto un'allucinazione, forse non si trattava di lei. Dio sto diventando pazzo, più di quanto lo sia già! Penso, massaggiandomi il collo ancora dolorante per i colpi ricevuti, mentre sono seduto su uno sgabello di legno in una bettola qualche isolato distante dal luogo dove si è tenuto il combattimento. Già, devo proprio essere pazzo per decidere di partecipare ad un incontro clandestino, quando sono ancora sotto processo; è già tanto se sono ancora in libertà e non devo aspettare la sentenza nella cella lurida che purtroppo mi è familiare. Eppure non sono mai stato così lucido come nel momento in cui quegli occhi verdi mi hanno trapassato: lo sguardo di Joey mi ha pietrificato, mi ha gelato il sangue in un secondo per poi rimetterlo in circolo l'istante dopo ad una velocità folle, tanto da costringermi ad andarmene per non collassare, vittima di un cortocircuito che ha colpito mente, anima e cuore nello stesso momento. Appoggio i gomiti sul bancone sverniciato che ho davanti e premo la fronte contro i palmi delle mani, immerso nell'atmosfera cupa di questo pub deserto e illuminato da luci opache al led verdi e rosse. Continuo ad aprire e chiudere l'accendino che ho tra le mani, un gesto che faccio sempre quando sono nervoso. Cristo, non posso credere mi abbia colto in quello stato! Scommetto che ogni volta che Joey si convince di avermi visto toccare il fondo e di aver conosciuto il mio lato peggiore, io la smentisco prontamente, prima rivelandole il mio passato, poi con l'arresto, successivamente fuori dalla prigione e infine mostrandole il mostro che sono dentro mentre picchiavo a sangue quell'idiota poco fa. Non so che mi prende quando combatto, ma è come se staccassi la spina, come se mi sconnettessi dalla realtà e raggiungessi uno stato dove è possibile sfogare tutti gli istinti che mi tormentano e che non riesco a controllare, dove posso consumare la rabbia folle che ho dentro scaricandola su qualcun altro che fa la stessa cosa con me per gli stessi motivi, secondo un accordo implicito. Quando riprendo coscienza non ho ricordi nitidi, ma solo frammenti sbiaditi ed è questo che mi permette di riuscire a convivere con me stesso e con la belva che mi porto dentro, è ciò che impedisce alla mia coscienza di disintegrarsi. Il vantaggio è che mi viene concesso di ricevere quella dose di adrenalina di cui sono dipendente, quell'unico brivido malato e tossico che mi fa sentire vivo, dopo essermi lasciato alle spalle la sola emozione che valeva la pena di essere vissuta, dopo aver abbandonato lei, Joey, tradendola per questa vita di merda, che tuttavia è la sola che mi permette di essere me stesso.

"Un altro giro?" Carol indica il bicchiere di whisky ormai vuoto posato di fronte a me. Lei è la barista di questo locale e una mia vecchia conoscenza, se così la si può definire dopo averci scopato un paio di volte l'anno scorso. Mastica una gomma tenendo la bocca aperta e muovendo la lingua in modo seducente. Ha i capelli rossi, folti e crespi, raccolti disordinatamente in cima alla nuca, con diverse ciocche di lunghe extension blu che le ricadono sulle spalle tatuate. Il top fucsia mette in mostra le tette grosse e rifatte per cui è famosa e le lascia scoperto gran parte dell'addome. Le braccia ambrate sono ricoperte di tatuaggi colorati e indefinibili e le cosce robuste sono fasciate da una minigonna di jeans stracciata all'estremità. "Dammi la bottiglia" le dico con tono infastidito e stanco, senza nemmeno prestarle attenzione, lei accenna una risata e spinge il whisky verso di me, sporgendosi provocatoriamente sul bancone; quando i miei occhi incontrano la sua scollatura, alzo lo sguardo e inclino la testa di lato; poi, siccome le decisioni stupide sono il filo conduttore della mia vita, le rivolgo un ghigno allusivo: "Ti va di farmi compagnia?" Carol sorride maliziosa e io so che non aspettava che quella proposta; si porta la bottiglia alle labbra dipinte di viola scuro e poi me la passa. 


Carol mi spinge sul letto e monta a cavalcioni su di me, per poi togliersi il top e rimanere seminuda. Questa stanza è squallida e impregnata di un odore di muffa e le lenzuola sono infeltrite e sporche; Carol vive in un monolocale nella palazzina sopra il pub e, dal momento che le scelte cretine sono il mio forte, ho deciso di dare ad una giornata di merda un finale altrettanto degno, sperando almeno di riuscire a divertirmi un po'. Tuttavia quando Carol si china su di me, baciandomi famelica il collo e infilandomi le mani sotto la canotta bianca, non posso fare a meno di voltare la testa dall'altra parte e spingerla indietro. Le sue unghie lunghe e laccate mi urtano lo stomaco mentre mi graffiano l'addome, sono ovviamente finte, come le sue tette e come lei. "Allora? Non mi dici niente?" chiede con tono eccitato, evidentemente aspettandosi che io faccia qualcosa. Guardo i piercing che porta su entrambi i capezzoli, il trucco sbavato che la invecchia e gli occhi scuri, privi di qualsiasi emozione e che non mi fanno provare niente. Cristo, ma da quando sono diventato così schizzinoso cazzo? Non sono davvero capace di divertirmi. "Sei molto bella" le rispondo con voce monocorde, che esprime la mia indifferenza nei suoi confronti. "Che fantasia!" esclama sarcastica con un tono scocciato, per poi piegarsi nuovamente su di me e infilare una mano nei miei pantaloni, manifestando quanto anche io le sia indifferente e rassicurandomi nel farmi capire che stiamo entrambi cercando la stessa cosa: un modo per passare il tempo estraniandoci da noi stessi.


Ho bisogno di respirare; ho bisogno di aria sana che mi dia l'impressione che ci sia una possibilità di purificarmi. Esco di fretta dal palazzo dove ho trascorso le ultime ore, prima al locale e poi nell'appartamento di Carol. Che schifo! Mi sento lo stomaco sottosopra e so di avere un aspetto orribile: non dormo da tempo, sono sofferente per tutti i pugni presi e dati e di certo la sbronza di questa sera non aiuta. Per questo, quando mi fermo sul marciapiede per accendermi una sigaretta, mentre lascio che il gelo della notte mi riporti in vita, strizzo diverse volte gli occhi, aprendoli e chiudendoli e convincendomi che quello che ho di fronte sia un fantasma. Davanti a me, mentre tenta di scaldarsi stringendosi in un costoso piumino proveniente da una boutique di Rodeo Drive, c'è un cerbiatto dagli occhi verdi brillanti: Bambi mi fissa con uno sguardo stanco, confuso, impaurito e sconvolto, sottoponendomi di nuovo a quella dolce tortura di cui solo un angelo finito all'inferno è capace. "Voglio delle spiegazioni. Me le devi" scandisce.

Ma perché Joey non si arrende mai?

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