Capitolo 8: Profondo grigio

95 4 3
                                    




Joey

Che schifo di serata! Prima il litigio con Danny e poi ci si mette pure questo Jesse: mi sento così umiliata! Questa sensazione non mi è nuova, ma mi punge più di qualsiasi altra volta precedente, come un ago nello stomaco. Non riesco a smettere di rivivere nella mia mente quanto è appena successo: mi ricordo a malapena di come quel deficiente abbia provato ad approfittare di me, ma non posso a togliermi dalla testa quei due occhi di un grigio profondo e glaciale, fissi nei miei; li vedo ancora se socchiudo le palpebre e so già che mi perseguiteranno. Onestamente, che io ricordi, Jesse è stato il primo a intervenire in mia difesa in una situazione simile, non era mai successo prima e devo ammettere che non me lo sarei aspettata, come non mi aspettavo mi facesse piacere sentire il suo tono preoccupato nei miei confronti. Eppure poi si è rivelato come gli altri, penso amaramente: mi ha vista come la bambina bisognosa di aiuto, che puoi sgridare e comandare a tuo piacere. Ma perché mi sento sempre trattata come un oggetto? Evidentemente devo essere io ad avere qualcosa di sbagliato.

Sono seduta sul muretto dove poggiano le colonne del portico che conduce all'edificio della biblioteca, distante dalla baraonda della festa. Sto cominciando a smaltire la sbronza, anche se non ho bevuto eccessivamente, al contrario di quanto scommetto pensi Jesse. Ma perché mi interessa tanto la sua opinione nei miei confronti? Con lui mi sembra di essere sotto analisi. È ingiusto: mi stavo sentendo così bene per una volta, in sintonia con il mio corpo, ballando senza pensare a nulla e divertendomi, ma poi, come sempre ho finito per esagerare e mettermi in ridicolo. Mi sento una calamina per questo genere di situazioni.

Noto che alcuni ragazzi concludono la serata e iniziano a tornare ai dormitori, passandomi davanti distrattamente e vedo Serena, la mia compagna di stanza, dirigersi verso di me, accompagnata da un tipo che conosco solo di vista: "Stasera non aspettarmi!" mi avvisa giuliva, per poi allontanarsi ridendo insieme a lui, probabilmente diretti al dormitorio maschile. Scuoto la testa sorridendo. Serena è la mia migliore amica: è tanto fantastica quanto fuori di testa, una professionista nel mettersi nei guai e nel coinvolgere anche me. In ogni caso meno male che c'è lei, soprattutto stasera! È l'unica che riesce a tirarmi su di morale o a consolarmi, capendo da sola ciò di cui ho bisogno, senza che io dica nulla. Ci siamo conosciute l'anno scorso il primo giorno di college e da allora siamo inseparabili. È bellissima senza nemmeno provarci, con i capelli neri lucidi lunghi fino al sedere e la carnagione leggermente più scura della mia. Il suo stile è a dir poco originale  e l'anellino che porta al naso è il dettaglio che la contraddistingue. Inoltre ha un fisico pazzesco, per cui può permettersi qualsiasi cosa.

Inizio ad avere freddo e mi pento di non essermi portata anche solo un maglioncino per ripararmi dalla brezza notturna. Mi passo una mano dietro il collo: Dio non posso credere di aver provato a spogliarmi! Devo avere un aspetto pietoso, penso, e cerco di sistemarmi i capelli, quando vedo Jesse avanzare con passo pesante accompagnato dall'inconfondibile rumore sordo dei suoi anfibi. Probabilmente sta lasciando la festa. Continuo a guardarlo intenzionalmente e quando mi scorge gli faccio cenno di avvicinarsi. Sono sicura che sto solo andando incontro ad un'altra figuraccia, ma non so perché sento il bisogno della sua presenza: in un attimo riesce a mettermi tranquillità e l'esatto secondo dopo mi manda in tilt, eppure ricerco questa sensazione come una falena attratta dalla luce e soprattutto adesso voglio chiarire quanto è successo, se ancora mi è rimasta un po' di lucidità.

"Pensavo di dovermene andare a fare i cazzi miei, dato che mi è stato detto sia l'unica cosa che mi riesce" esordisce sarcastico prima di sedersi accanto a me sul muretto. Non posso fare a meno di sorridere: allora un briciolo di spirito ce l'ha, realizzo. "Scusami per prima" vado dritta al punto "Ho esagerato nel prendermela con te e ti ringrazio sinceramente per essere intervenuto in mia difesa" alza lo sguardo nei miei occhi e inspiegabilmente il mio stomaco è attraversato da innumerevoli farfalle, quindi proseguo un po' meno sicura "ma non voglio sentirmi in dovere di rendere conto a te di quello che faccio". "Hai ragione e fai bene. Inoltre prima hai detto la verità sul mio conto" interviene subito "non sono bravo con le scuse, ma ho sbagliato a parlarti in quel modo, credimi io non sono come gli altri, non sono così" serra la mascella e io mi sento spinta a tranquillizzarlo "Lo so, l'ho capito" lo rassicuro. Poi prosegue "So che sono stato brusco a partire da stamattina nel non voler parlare di me, ma..." si interrompe. "Va tutto bene, non preoccuparti, non devi dimostrarmi nulla. Voglio dire, non sarai mica evaso di prigione..." tento di alleviare la tensione facendo la spiritosa, ma devo aver fatto una pessima battuta perché Jesse si volta di scatto verso di me e mi fissa spalancando gli occhi. Non posso fare a meno di spostare lo sguardo, improvvisamente intimorita da quella reazione.

Seguono alcuni secondi di silenzio, che stranamente non percepisco come imbarazzati, entrambi guardiamo le stelle nel cielo scuro, persi nei nostri pensieri. "Comunque vengo da Chicago, visto che lo chiedevi..." dice all'improvviso, con ritrovata serenità "...e sono qui grazie a una sorta di borsa di studio" aggiunge sommessamente, con lo sguardo fisso a terra "se così si può dire". Mi volto verso di lui e lo guardo, sollevata e grata che mi abbia voluto raccontare qualcosa di sé; gli rivolgo un sorriso timido e mi sembra che anche lui ne accenni uno. Sposto lo sguardo e noto che al lobo dell'orecchio sinistro porta un anellino doro come orecchino; indossa gli stessi abiti di stamattina, ma mi accorgo solo ora che dalla canotta bianca che gli aderisce ai pettorali spunta l'estremità di un tatuaggio. Senza riflettere allungo una mano e ne ripasso i contorni con le dita, senza capire di che soggetto si tratti. Lo sento irrigidirsi e ritraggo immediatamente il braccio, arrossendo come una stupida. Cavoli, ma che mi prende?! Evidentemente devo aver bevuto più di quanto credessi. Mi mordo il labbro inferiore e imbarazzata mi copro il volto con una mano: "Non so che mi è preso scusami...". Lui mi allontana immediatamente il braccio dal viso con una presa salda ma delicata, fissandomi di nuovo con quello sguardo severo e intenso che mi mette i brividi, ma in cui mi perderei infinite volte, sentendomi al sicuro come non mai: "Quante volte devo dirti che non mi devi mai chiedere scusa di niente?" la voce è roca e le parole sono ferme, ma il tono ha un'inaspettata dolcezza.

CHI NON RISCHIA NON VINCEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora