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Caro papà,

che cosa penseresti ora di me? Saresti fiero?

Non credo.

Mi ricordo che quando ero piccolo mi dicevi sempre che le persone a volte sbagliano, ma bisogna lasciarle sbagliare, perché altrimenti non capiranno mai la differenza tra giusto e sbagliato.

E io non capivo, anche se a volte c'era come un barlume di comprensione che mi saettava nella mente, rimbalzava un paio di volte, poi spariva, chissà dove.

Ora penso di aver capito. Ora penso di aver sbagliato. Sono dovuto arrivare a trentacinque anni e a parlare come uno di settanta per capire la differenza tra giusto e sbagliato.

Ho sbagliato papà, ma sarebbe stato meglio non sbagliare mai. Ho buttato una bomba sugli uffici più importanti della città, ho ucciso alcune delle personalità più rilevanti del momento, ma sai dove ho sbagliato veramente? Mi sono sentito bene.

Non migliore, quello mai, ma bene sì. Insomma, lì per lì non è stato doloroso, lo scoppio, li vedevo agitarsi come formiche e stavo bene.

Me ne vergogno immensamente, non posso spiegarti meglio come mi sento.

Il fatto è che poi è uscito quel tipo in calzamaglia (lui sì che ti piacerebbe, papà, dovresti vederlo!) e, diavolo, è crollato tutto! Non letteralmente, ma nella mia testa è stato solo allora che ho sentito l'esplosione.

Insomma, l'eroe di turno aveva in braccio una ragazza, Diana Foster (la giornalista petulante e a mio avviso anche abbastanza stupida), è uscito dalla polvere e dal calore che stava piangendo.

Piangeva, capisci? A causa mia. È lì che ho capito di aver sbagliato.

Eppure non era la prima volta che lo facevo. Mi ci sono volute almeno tre, quattro volte per capire che stavo sbagliando. Ne ho lanciati altri, di ordigni, più o meno riusciti, più o meno efficaci. Ne ho viste di persone piangere. Eppure ho capito solo lì che stavo sbagliando, dove stavo sbagliando.

Ho provato tutto, tutto per rapportarmi a questo mondo. Non so più come fare, cosa fare, come farlo. Ma forse non ho provato tutto. Forse non ho provato tutti.

Forse esistono altri modi per relazionarsi con questi automi ingrigiti, forse esistono altri modi per risvegliarli da questo torpore mortale, forse modi meno violenti e che possono fare meno male ad un tipo in calzamaglia.

No, non m'importa di lui, non credo. Ma vederlo piangere mi ha fatto male da qualche parte dentro. Sai, per colpa mia è rimasto solo.

Mi vergogno immensamente, papà. Se tu fossi vivo non oserei nemmeno guardarti in faccia. Tu me lo dicevi sempre, che chi non fallisce non diventerà mai grande, ma io ho fallito su tutti i fronti, e grande non lo sono stato mai. Grande nel male, forse, ma non era quello che volevo.

Mi ci hanno spinto, papà. O non so come ci sono arrivato. Ho perso la testa, e quando l'ho ritrovata era troppo tardi. Potrai mai perdonarmi?

Io non l'ho fatto e penso che non lo farò mai.

Sai, ho sbagliato peccando di presunzione. Io ho buttato quella bomba convinto che nessuno in quell'ufficio fosse in grado di pensare a quello che penso io, come penso io. Ma chi sono io per dirlo? Io nelle loro teste non ci sono stato mai.

La verità? Quella bomba la dovevo buttare sul mio, di ufficio, sarebbe stato meglio per tutti.

Perdonami, papà, anche se sono imperdonabile.

                                                                Tuo figlio, che anche se è imperdonabile con la faccia tosta tipica                                                                 del supercattivo viene a chiederti perdono mentre è ancora in                                                                       uno stato confusionale.     

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