Cara signora della casa di fronte,
oggi quando sono tornato da lavoro stava stendendo i panni, fischiettava e cantava una canzone vecchia che nessuno ricorda, in questa città. La gente che passava sotto la guardava un po' ridendo e lei era felice.
Io adoro le persone che si divertono quando gli altri ridono di loro. Non è una cosa facile, ci riescono in pochi e sono in uno stato di semi-beatitudine, di pace immensa con se stessi.
Io quella canzone la conosco. L'ho letta in un libro, in 1984. Un libro bellissimo, complimenti per i gusti, signora. È abbastanza adatto a questo mondo, solo che il Grande Fratello non è una persona singola, ma la società che ti guarda e giudica continuamente.
Lei se ne stava a stendere in mezzo alla via, osservata dalle persone che ridevano, e cantava una canzone, una filastrocca, simbolo di ribellione totale. Aveva qualcosa di poetico, sa? Poco importa che quella filastrocca sia poi l'atto finale della rovina dei protagonisti, l'importante è quello che significa per loro, l'importante è ciò che simboleggia: Libertà.
Bisogna arrivare credo ad una certa età, per sentirsi liberi. Qualunque età sia, è sempre troppo tardi. Noi non nasciamo liberi, nessuno di noi nasce libero. Una volta facevano distinzione tra chi nasceva schiavo e chi libero e fissavano la distinzione in modo netto.
Nella nostra società nasciamo tutti liberi, in linea teorica, poi chi è schiavo della miseria rimane tale, e chi è ricco rimane schiavo del denaro. Nessuno è libero, anche se ci piace pensare di esserlo.
E invece una sera mi si affaccia alla finestra lei, signora, che canticchia una filastrocca e stende i panni e sembra appartenere ad un altro mondo e sembra un miraggio di libertà. Santo cielo, signora, complimenti! Si è ritagliata un angolo di paradiso nell'inferno!
Come vorrei saper imparare da lei: la ammiro oltremodo, anche se poi magari si lamenta come tutti gli altri.
Oggi il lavoro è andato bene, grazie. Mi immagino lei in un salottino rosa antico, che mi invita a sedermi e mi offre del tè, e mi chiede "zucchero?" e io le dico " sì, grazie" e lei butta dentro una zolletta, di quelle che si vedono solo nei film.
E allora io mi siedo, e lei mi chiede del lavoro e mi chiede di che mi occupo, che cosa ho fatto, che genere di attività svolgo, se ho un hobby. E io le dico che me ne sto tutto il giorno al computer a sbrigare faccende per gli altri, parlo al telefono con i clienti di tanto in tanto e a volte mi becco anche insulti, ma alla fine di lavoro faccio quello che risolve i problemi, e lo facciamo tutti nel mio ufficio, ognuno per conto proprio seduto alla propria scrivania. Tutti soli?
Sì, tutti soli signora, ma nelle pause parliamo, ci salutiamo, non siamo mai soli nella stanza. E lei obietta che è come essere soli, e io cerco di spiegarle che non stiamo zitti per ore, di alcuni casi e di alcuni problemi ridiamo anche, parliamo anche, e lei alza appena le spalle e dice che non le sembro felice e le sembro sprecato, lì.
Ed è già ora di andare, e lei ha ragione. Mi vede dalla finestra e mi saluta sorridendo mentre me ne torno a casa; nessuno l'ha mai fatto, e vedo la gente che sorride intorno e allora sorrido e rispondo al saluto.
Steve mi salta sulla pancia e mi fa capire che è ora di andare a dormire.
Grazie della compagnia, signora.
Un eroe in crisi che ha molto apprezzato il suo tè.
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Lettere di crisi
General FictionUn eroe in crisi e un supercattivo che ha perso tutto. Quanto saranno diversi, una volta tolta la maschera?