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Caro figlio che non ho mai avuto,

voglio che tu sappia che non devi credere a quello che ti dice la gente: il mondo non si conosce, ma si sente.

Quel poco che sappiamo sul mondo, quel poco che realmente sappiamo su di esso non l'abbiamo conosciuto, ma sentito.

Sapere non è qualcosa di razionale, capisci? Ci sono cose che "sappiamo e basta", e quelle sono le verità che tutti hanno e nessuno conosce.

Esiste un tipo di conoscenza che ci viene data e basta, come un dono. Essa è quella conoscenza che si ha solo quando meno si è consapevoli di se stessi, negli stati di trance che vanno al di là dell'Io come singolo e che ci trascinano all'improvviso in una realtà più grande, in un universo di cui non siamo che una parte.

Che non si veda bene se non con il cuore, questo lo sai già. Se l'hanno detto (e l'hanno detto in molti) un motivo ci deve essere, non credi?

Non rifiuto, non fraintendermi, la conoscenza del mondo portata avanti con un metodo scientifico, anzi la ritengo più che utile e più che nobile; ma non si vive solo per le medicine, ragazzo mio.

La medicine possono tenerti in vita, evitarti la morte, ma non possono farti vivere e sentire davvero. Sono lontano dal criticare la scienza, lo sai, ma sono altrettanto lontano dal dichiararla assoluta: mi rifiuto di credere che l'uomo viva solo di cibo, e so che esiste altro.

Non parlo di droghe, alcool, sessualità sfrenata, non parlo di questo.

Ti parlo, figlio mio, di qualcosa di più profondo. Qualcosa che appartiene in modo così radicale a noi uomini che abbiamo finito per dimenticarcene. Esso si risveglia quando chiudiamo gli occhi, quando torniamo alla origini del mondo, quando torniamo alle origini dell'uomo.

In passato, all'inizio, non conoscevamo nulla. Tutto ciò che trovavamo, persino tutto ciò che inventavamo, tutto era per noi un dono datoci da altri, tutto aveva del meraviglioso.

Da soli su questa terra siamo cresciuti, abbiamo fatto passi da giganti, ma siamo pur sempre rimasti uomini. Se è stata la meraviglia a spingerci fin qui, la meraviglia deve spingerci ancora o non ci muoveremo di un passo.

Siamo stati innocenti, siamo stati indifesi. Poi abbiamo avuto il nostro battesimo del fuoco e siamo stati colpevoli, abbiamo imparato come attaccare. Ora dobbiamo tornare all'Innocenza.

Non parlo di Eden, peccato originale, non parlo di Male, nulla di tutto questo. Parlo di tornare all'uomo, di tornare a noi quali siamo. E non siamo che scimmie evolute, non siamo che angeli caduti.

Per tornare indietro non possiamo andare a ritroso, non possiamo levarci di dosso tutto quello che abbiamo raccolto per la via, ma abbiamo il dovere di andare a fondo. Scavare attraverso i secoli di depositi che hanno nascosto l'Origine vera, quella che balena un solo istante nella mente dei poeti come un bagliore di luce in mezzo alla tempesta più folle e più nera. Quella che, con una sola scintilla, potrebbe far cessare tutta la polvere che l'odio solleva.

Il vero problema di questa verità è che sta nel fondo, e noi non amiamo rimanere senza fiato.

Non è una verità facile, perché non ti lascia senza fiato per la gioia, ma per il terrore. Ti lascia nel panico, ti sussurra di notte parole terribili a udirsi e ti dice che sei sporco dentro, che devi tornare all'Innocenza, ti mette a nudo, ti schiaffeggia, ti porta sull'orlo del baratro e ti lascia sospeso a fissare l'oscurità.

Ti chiede, sopra ogni cosa, un impegno tenace, ostinato, logorante. Ti lascia senza respiro perché ti pone davanti ai tuoi limiti e ti apre un mondo che non è più esterno a te, ma interno.

Il vero limite, figlio mio, non è quello fisiologico, ma quello mentale. Si sbagliavano i Romantici, quando parlavano dell'infinità dell'Io, quando associavano l'io all'infinito. L'io è intrappolato, figlio mio, è soffocato come quello di cui parla Freud, è terribilmente limitato e non solo da cose esterne, ma soprattutto da cose interne. L'io si auto-limita, figlio mio, ricordalo sempre. Vivrai fino a quando penserai di poter vivere, oppure morirai perché ti lascerai morire.

Quando ti si svela questa immensa verità ogni dolore è tuo, ogni ferita è tua, ogni terrore è tuo, tutto il male cade su di te e lo senti per la prima volta, lo bevi d'un fiato come veleno, come alcool.

Dov'è il vantaggio, ti chiederai. Il vantaggio, se a vantaggio si può pensare nel momento in cui si realizza la Verità più profonda dell'essere, sta nel fatto che anche la gioia degli altri ti appartiene, la gioia del mondo è la tua gioia, l'amore, i sogni, gli entusiasmi: tutto ciò che è bene ti piove addosso e ti purifica, ti disseta. Vivi per la prima volta, respiri per la prima volta, vedi per la prima volta e tutto, tutto pare nuovo! Gioia, dolore, amore, terrore, odio, tutto è per te fenomenale, tutto è per te incredibilmente vicino e incredibilmente tuo!

Ma non è una verità facile, perché per vedere il tutto bisogna rinunciare al qualcosa e si rischia di piombare nel nulla.

La nostra verità profonda è esigente e ci chiede, come altri hanno già detto, la totale estinzione di noi stessi.

Un fiume diventi per noi la nuova fonte battesimale, la pioggia sia fatta di luce che scende ad accarezzarci, la terra sia l'abbraccio di una madre fatto di profumi e colori, il vento sia la nostra bussola!

Questa è la nuova realtà, meglio: l'antica, e vibra di vita, di nascita, di ardore e di coraggio. Essa si cela negli strati stantii del nostro cuore e grida per la propria libertà.

Possiamo ignorarla, figlio mio, ma essa non cesserà per questo di esistere.

Tuo padre, o quello che ne resta.

Lettere di crisiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora