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Cara donna,

ricordi quella volta che a mezzanotte stavamo seduti al bancone di un bar, e nessuno di noi sapeva perché c'era arrivato e perché era ancora lì anche se il giorno dopo si lavorava?

Nemmeno la sveglia alle quattro di mattina avrebbe potuto farci alzare da lì. Hai mai la sensazione che ci siano momenti in cui siamo al posto giusto, al momento giusto?

Nessuno di noi due si è alzato prima di lanciare uno sguardo all'altro e ci siamo colti entrambi colpevoli, colpevoli di curiosità. E quando ci si coglie colpevoli a vicenda, si sa, si diventa complici.

E poi io ho parlato, ricordi che ti ho detto? Io vagamente. So quello che ho pensato, e alla fine quando si è entrambi stanchi si comunica su un'altra dimensione che non è esattamente la parola, ma il significato svincolato dalla parola, e chissà come alla fine ci si capisce.

Ti ho detto, ho pensato: " Hai mai fatto caso a come una delle cose che ci fa più male sia ciò che potrebbe essere stato e non è stato?"

Che voleva dire: c'è un periodo, no, nella tua vita. Un periodo bello, non ancora completo, ma che ha in sé qualcosa di estremamente bello che può diventare meraviglioso. Contiene in sé l'embrione della felicità e tu lo senti, lo senti forte, e scalpiti e speri che venga fuori, e pensi: "Sta accadendo!"

E poi ti risvegli mesi dopo, anni dopo, al bancone di un bar, e pensi:

"Non è accaduto." Eppure lo ricordi, lo ricordi chiaramente quel potenziale bene, ormai mancato, e anche se non è mai stato, alla fine ne sei schiavo. Ti opprime come sul petto, e ci rimani male, senti in bocca l'amaro non dico di veleno, ma come di mandorle, mandorle amare. Noci, quasi.

Come possiamo essere schiavi della potenzialità? Qualcosa che avrebbe potuto essere, il cui stato non abbiamo mai conosciuto, eppure desideriamo ardentemente?

È quasi lo stesso concetto del paradiso, dell'immortalità. Come mai ci fa così male? Non l'abbiamo mai conosciuto, tutti noi siamo nati su questa terra e moriremo, probabilmente, senza conoscere altro. Perché ci manca qualcosa che non conosciamo?

Eppure non è come gli altri sogni, che sono palesemente celati tra la nebbia dell'irrealtà attuale. Non sono come i sogni, sono come realtà potenziali, già quasi parzialmente presenti. Li sentiamo già lì, quei futuri mancati, eppure non sono mai stati e non saranno mai.

Ci fa male la delusione dell'aspettativa, forse? Ma era più di aspettativa. Era percezione, sensazione.

Siamo schiavi di ciò che sarebbe potuto essere, donna del bar, siamo schiavi di tutta quella potenzialità intrinseca nelle cose e di quell'istinto a metà tra l'animale e l'umanamente razionale che ci permette di coglierla.

Forse il perché lo sapevamo, allora, in quello stato che era più vicino agli ubriachi che ai sobri, più vicino ai matti che ai sani di mente, più vicino alla realtà che alla finzione.

Certe cose, compagna di bancone, si capiscono solo in certi luoghi e in certi orari. Appunto, nel momento giusto e al posto giusto. Ma spazio e tempo, purtroppo, passano.

                                                     Un uomo che ha capito di non ricordare cosa ha capito, ed altro non è                                                         che un eroe in crisi che saluta una compagna di serata.

Ps: che mi avevi risposto, poi?     

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