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Cara te,

ricordi la sensazione di essere al momento sbagliato, nel posto sbagliato?

Ha costellato la nostra giovinezza, tornando troppe volte, nel momento sbagliato, come sempre.

D'un tratto a quella conferenza, prima di iniziare a parlare, ti sei fermata, sospesa, davanti a quel microfono con le labbra semiaperte, il fiato sospeso, e ti assicuro che ti dava un'aria davvero seria, come di qualcuno che pretende silenzio.

Ma io so cosa stavi pensando. È stata come una pugnalata, no? All'altezza dello stomaco, d'un tratto hai realizzato di essere nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, a fare la cosa sbagliata. No, non sbagliata in senso morale, ma sbagliata in senso temporale. Non andava fatta ora, perché la priorità era un'altra.

E saresti dovuta scappare, dire "scusate" a quel microfono, andare via a fare quello che in quel momento sapevi di dover fare. La consapevolezza dello sbagliato deriva talvolta dalla conoscenza del giusto.

Hai perso qualcosa, vero, quella volta? Qualcuno, a cui dovevi correre incontro e invece te ne stavi lì a parlare ad una folla di gente che fingeva di ascoltare. Una bella conferenza, per carità, forse la più bella della carriera. Ma quanto ti è costata, luce dei miei occhi.

La sala era gremita, eppure una sola persona contava e non era lì, e dovevi andare a prenderla. Poi c'è stato l'incidente e non te lo sei mai perdonato; se l'avessi fermata, forse...

So che non ti piace parlarne.

L'inadeguatezza, il posto sbagliato, il momento sbagliato, le persone sbagliate. È stato lo spettro della mia giovinezza, lo spettro della mia vita.

La sensazione di non dover essere lì, anzi di non essere lì. Come un muro invisibile, incapacità di comunicare, incapacità di udire, come quando sei sott'acqua, come uscire da se stessi.

Perché? Perché mi sono sentito per anni meno di loro? Non dico di essere meglio, ma sarebbe difficile essere peggio.

Parlo io, quello che ha buttato la bomba.

Dovrei stare zitto e basta, come sempre.

Ma fa male pensare e basta, lo sai anche tu che i pensieri inespressi e tuttavia da esprimere sono come acidi, girano e rigirano e logorano, distruggono.

Le parole sono l'unico modo per buttarli fuori, per evitare di impazzire.

A volte piuttosto di parlare si preferisce impazzire.

L'inadeguato, quello che sono, quello che siamo sempre stati. L'invidia e anzi l'ammirazione per lui, per lei, che riuscivano sempre a parlare, a dire cose intelligenti, sempre a sentirsi a loro agio. Sanno sempre cosa dire, sempre cosa fare, sanno sempre, e basta. Come se tutto il mondo, tutte le persone, tutti gli argomenti fossero sempre di loro gradimento, sempre di loro conoscenza.

Una cosa che non sarò mai, questa.

Mi porto dietro il mio spettro che mi rapisce e mi isola, mi sta attorno e dentro, e non sarò mai brillante come loro.

Poi ne parli con loro, sincera ammirazione, e loro come sempre hanno la risposta e ti dicono che anche loro si sentono talvolta inadeguati, ed è normale.

Ma per noi non è normale, è continuo.

La loro capacità di brillare, dove la troveranno, poi.

Sempre brillanti, sempre felici, sempre in compagnia.

Mi è capitato, talvolta, di vederli soli. Ma gli occhi erano tranquilli, seri, posati, incomprensibili.

Tutto è così incomprensibile.

E sono inadeguato anche in questo, nel capire.

Tuo,

                              L'Inadeguato    

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