Capitolo quattro.

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Cammino spedito verso la Juilliard dove mi aspettano una massa di bambinetti viziati che mi guarderanno dall’alto in basso solo perché io non ho seguito una scuola facoltosa come la loro e già li odio profondamente perché, anche se indirettamente, mi hanno costretto ad indossare questi insulsi pantaloni neri e formali perché per l’ansia di fare tardi mi sono buttato addosso il caffè.
Guardo l’imponente struttura e rimango un attimo sbalordito per l’alone di austerità che sembra sprigionare solo dal primo sguardo, e questa sensazione si amplifica quando sono costretto a mostrare il pass per entrare.
Una bionda con una risata fastidiosa e che continua a farmi i complimenti per le mie foto quando dubito le abbia mai viste mi scorta dal professore a capo del progetto e mi chiedo perché mai continuo a chiedere consiglio a Nick sui progetti da accettare, ma sento ancora nelle orecchie le sue parole potresti essere il primo a fotografare il prossimo Roberto Bolle.
“Benvenuto alla Juilliard Signor Styles” un uomo dal viso affabile e dal naso affilato mi invita ad entrare nel suo ufficio
“Salve Signor Lawrance” mi accomodo e lui mi sorride con fare gentile, l’ansia sembra quasi defluire del tutto nelle dita delle mani visto che continuano a tamburellare nervose contro le cosce nascoste sotto la scrivania scura
“Come abbiamo già detto ci saranno altri suoi colleghi che oggi conosceranno i nostri migliori allievi” mi spiega in modo professionale, e mentalmente rivedo anche tutte le email che ci siamo scambiati e che inizialmente volevo ignorare “il vostro obiettivo sarà creare una connessione con loro e quindi catturare una parte della loro anima che sarà quella che definirà il loro successo o il loro fallimento” continua in maniera abbastanza fatalista “a voi sarà data libera scelta nello scatto o nella serie di scatti che farete, ma saremo noi a scegliere il vincitore”
“Si questo lo so” rispondo velocemente pur cercando di non sembrare maleducato sapendo che il tempo a mia disposizione sta per terminare “ma vorrei capire lo scopo finale di questo contest e soprattutto perché la scelta sia ricaduta su di me”
“la realtà è che qui alla Juilliard amiamo l’arte e trovo che le sue foto siano una punta dell’iceberg” risponde di nuovo con un sorriso che non mi fa tremare sulla sedia “infatti lei è stata una mia scelta, ma purtroppo” lo vedo alzare quasi impercettibilmente un sopracciglio “sono stati chiamati anche altri fotografi per permettere agli studenti di esprimersi nel modo che credono possa esaltare al meglio il loro talento”
“E l’obiettivo finale?” chiedo ancora con una punta d’orgoglio, mi devo prendere il migliore senza alcun dubbio e devo vincere
“La sua foto finirà sulla prima pagina del People o di Vogue, ne stiamo ancora discutendo in realtà, e soprattutto nella nostra sala conferenze, per i ragazzi la situazione cambia, perché vinceranno una borsa di studio” afferma serafico “ora se mi vuole seguire, andiamo a incontrare i ragazzi e i suoi colleghi”
“con molto piacere” faccio alzandomi e cercando di lisciare le pieghe della giacca che sapevo di non dover mettere perché le strisce mettono in evidenza le grinze, e poi immagino le mie foto su quei giornali, perché ho fatto mostre, ho avuto ottime recensioni, ma sono rimasto ingabbiato nel mondo fotografico, nel mondo di coloro che vogliono vedere il mondo da un occhio diverso, ma io voglio che tutti sappiano cosa c’è là fuori, voglio che tutti vedano le mie foto, non perché sono le mie, ma perché raccontano la verità.
“Studenti vi presento i fotografi per il progetto Face of art” parte un applauso piuttosto caloroso ed io solo in questo momento mi rendo conto di essere in una sala conferenza con troppi occhi puntati addosso, molti sorrisi e camice bianche perfettamente stirate ed è un secondo, ma un brivido contro la schiena: Louis.
Cosa cazzo ci fa qua Louis?  E lui abbassa lo sguardo come bruciato, non ci credo, non ci posso credere, quante probabilità c’erano? Ed i suoi occhi in quell’istante in cui si sono mostrati sono stati barometro di tutte le emozioni che ha provato,  ma soprattutto di quelle che ci ha privato di provare isolandosi in questa bolla di menzogne.
“fotografi avete davanti a voi le promesse del futuro” e lui incassa la testa nelle spalle, come completamente nudo, come completamente senza barriere, e questa volta sono i fotografi al mio fianco ad applaudire, ma le mie mani sono come statue di cera, chiuse su se stesse per paura di qualche gesto sconsiderato “entrambe le parti conoscono abbastanza bene le finalità del progetto, per qualsiasi informazione potete chiedere a me o alla signora Patterson ma comunque...” riprende a spiegare il progetto, ma io non presto attenzione, troppo impegnato a fissare Louis che prima o poi alzerà lo sguardo, perché diamine questi sono tutti ragazzi che pagano cifre esorbitanti per questa scuola, e perché credono nel loro talento, e diamine Louis è uno dei loro migliori studenti, e si spiega l’armonia del suo corpo, quell’eleganza disarmante che emanava ad ogni gesto, ma perché nasconderlo? Perché non sbandierare ai quattro venti che frequenta una delle scuole più prestigiose del mondo? Musica, ballo, recitazione?  E mi manca, mi manca nonostante sia davanti a me, perché ha avuto la possibilità di parlare, ha avuto la possibilità di farsi conoscere e non ha voluto, e non riesco a togliermi dalla mente quel giorno al bar, quando con lui fra le braccia avevo pensato che Louis in così poco tempo era stato in grado di crearsi un posto suo, non di riempire quel vuoto che ho sempre tentato di colmare, ma di farlo sparire quel vuoto, creando una presenza, ed invece cos’era?  “quindi adesso iniziamo a conoscerci, ci spostiamo nella caffetteria dove potrete fare ogni sorta di domanda, tutti verso tutti, esponete i vostri dubbi perché dalla scelta del partner potrebbe cambiare la sorte del concorso” i ragazzi chiacchierano in modo scomposto mentre noi fotografi ci guardiamo ancora diffidenti, e non riesco nemmeno a godermi la solita scarica di adrenalina che mi prende quando ho un nuovo progetto sotto le mani, non riesco nemmeno a scrutare i miei colleghi per trovare i loro punti deboli, non riesco a pensare lucidamente, perché Louis è qui, ed io probabilmente non l’avrei mai saputo se non fossi venuto qui.
“Caffè per tutti?” chiede la signora Patterson e iniziano una serie di correzioni troppo salutari che lei ignora con una mano “chi vuole altro si alzi da solo”
“Signor Styles ha già visto qualcuno che le sembra interessante?” Il Signor Lawrance mi strappa dalla mia trance ed io sono costretto a rispondergli cordialmente se conto di mantenere questo lavoro
“Non voglio ancora sbilanciarmi” e la mia voce esce instabile, e non posso permettermelo è un incarico importante, dovrei essere freddo, distaccato
“Signor Styles?” questa volta sono richiamato da un’altra voce ed un ragazzo dai capelli troppo biondi e con un sorriso mozzafiato mi sta guardando con fare speranzoso, come conosce il mio nome? “ho visto alcune delle sue foto, sono rimasto incantato da quelle che ritraevano le sculture più particolari in giro per il mondo” sbatte le ciglia un paio di volte e continua a sorridere “sono rimasto meravigliato, ne ha catturato le emozioni dello scultore”
“Ti ringrazio…” lo guardo passandomi una mano fra i capelli in difficoltà non sapendo il suo nome
“Claudio” ed io lo guardo ancora stranito “si sono italiano”
“ecco perché ti sono piaciute quelle foto” penso alle foto fatte in un paese con questa statua di un cantante che aveva fatto il giro del mondo con le sue canzoni a braccia aperte e come sfondo il mare in tempesta
“Polignano è casa mia” ecco il nome del paese “e lei ne ha catturato l’essenza” una sedia gracchia contro il pavimento, e vedo solo le spalle di Louis allontanarsi dalla camera, ha anche il coraggio di fare una scenata del genere?
“Ti ringrazio ancora, ora scusami un attimo” mi alzo anch’io con un sorriso di cortesia e seguo il ragazzo che davvero mi interessa
“Cosa cazzo ci fai qui?” dice a denti stretti appena pongo un piede solo fuori dal palazzo
“Cosa cazzo ci fai tu qui!” ribatto prendendogli la sigaretta per giustificare la mia uscita improvvisa, e lui ancora incazzato ne prende un’altra con il piede che non sta fermo un secondo contro l’asfalto, e mi scappa un sorriso, un sorriso che non dovevo avere, perché nonostante questo ci comportiamo come una vecchia coppia, come persone che si conoscono da anni interi, che si capiscono delle volte senza bisogno di parlare
“E’ stato un caso, faccio l’inserviente” fa a testa bassa e solo ora mi accorgo del modo in cui è vestito, qui fuori fa un freddo cane e lui indossa una semplice camicia bianca, e dei pantaloni di un terra bruciata che lo accarezzano come una seconda pelle, e vorrei davvero dargli la mia giacca ma se dovesse uscire qualcuno lui passerebbe i guai, e nonostante tutto mi importa
“pulisci i bagni vestito così?” lo prendo in giro avvicinandomi pericolosamente solo per soffiargli il fumo in faccia. L’ultima volta che ci siamo visti è stata la sera in cui l’ho baciato, poi è sparito dalla mia vita, ed io ancora orgoglioso del mio attaccamento insensato a questo destino bastardo, non l’ho cercato, facendo scorrere i giorni che in un niente sono diventate due settimane, nelle quali non ho dormito bene, non ho mangiato bene, non ho fatto buone fotografie, perché l’unica cosa davvero importante era pensare a dove trovarlo, ed eccolo qui nella sua posa migliore: broncio, barba incolta e cresta antigravità, e gli occhi, gli occhi sempre bassi, sempre lontani, mai azzurri.
“Stai discriminando gli inservienti?” mi accusa con quello sguardo che odio, lontano, perso nell’orizzonte più lontano possibile dal mio
“No” mi scappa un sorriso e lui sembra sussultare “sto solo dicendo che sei uno degli studenti migliori di una delle migliori scuole d’arte al mondo, ed io non lo sapevo!” l’ultima parte credo di dirla urlando perché alcune persone per strada si girano a guardarci male e lui mi guarda, lo sta facendo e se i suoi meravigliosi occhi erano diventati una macchia d’azzurro nei miei ricordi, ora sono bianchi, non più quel bianco e nero che ricordava l’antico, che ti faceva sognare praterie e tè caldi, ma solo bianco, glaciale, pericoloso, fatale
“ed io sto solo dicendo che non c’era nessun motivo per il quale dovessi dirti una cosa del genere” non urla, non c’è rabbia, solo distacco, solo freddezza “non ci conosciamo”
“ci siamo baciati porca troia” ribatto io con tutti i sentimenti che lui non si permette di esprimere, perché in quel bacio io l’ho sentito il suo cuore battere su tutta la pelle che toccavo e su quelle labbra che ho venerato, l’ho sentito quella sera al bar il suo respiro accelerato infrangersi contro la mia pelle in un abbraccio che mi sono reso conto di aspettare da sempre senza averlo mai realizzato davvero
“e questo quale potere ti darebbe su di me?” scuote la testa “credo di averne baciati altri tre quella sera, e nessuno di loro è qui a farmi la predica. Ti sei presentato qua con le tue stupide fossette e la tua giacca da centinaia di dollari con quello sguardo che mi giudica senza nessun motivo”
“io sono qui per lavorare” sottolineo in modo brusco, ancora più incazzato per la sua totale pacatezza, come può pensare che lo stia giudicando, nemmeno lo avessi scoperto a rubare caramelle da un bambino, mi dà solo fastidio, mi da fastidio che lui abbia preso alla leggera il nostro rapporto, mi da fastidio che lo stia sminuendo maggiormente in questa occasione, mi da fastidio che io l’abbia accolto nella mia vita e che lui non mi abbia fatto nemmeno una presentazione generale, mi da fastidio che io ho sentito la sua assenza in ogni centimetro del mio corpo in queste settimane e che lui sembri completamente strafottente “ma comunque non credo che a tutti gli altri tu abbia detto quello che hai detto a me, non fingere che non t’importi, non fingere che non c’è stato nulla, ti prego” e finalmente i suoi occhi trovano i miei, alza il viso e ritrovo quella maschera crepata che non vede l’ora di essere rotta, e vorrei infilarci le mani in quelle crepe, vorrei staccare i pezzi con le unghie e con i denti e poi accarezzare ogni parte di pelle nuova, libera, pulita, e baciarla, e venerarla, prima di renderla del tutto mia
“Signor Style” la porta si apre e il signor Lawrence fa capolinea con il suo sorriso “l’ho trovata finalmente, ci sono molti ragazzi impazienti di farle delle domande” Ingoio un fastidioso groppo e cerco di sorridere, ma sono sicuro di esserci riuscito con scarsi risultati, e dio vorrei sbagliarmi, ma vedo Louis asciugarsi una lacrima con il palmo della mano, prima di concentrare le mie attenzioni sul professore rispondendogli “si certo andiamo” 
“oh Tomlinson” sorride in direzione di Louis questa volta che a differenza mia é completamente in ordine con sé stesso “spero tu abbia già parlato con Harry, mi piacerebbe molto vedere una vostra collaborazione”
“Farò tutto il possibile per collaborare con il migliore, signore” finge in maniera professionale, fanno arte drammatica alla Juilliard vero? “sa quanto ci tengo”
“lo so benissimo ragazzo, per questo vorrei che…”
“Non la deluderò signore” e poi sposta lo sguardo su di me, e gli occhi non sono più alienati come quelli di prima, ma ci vedo quasi uno strato di calore formato dalle scuse che ancora non può farmi “la danza prima di tutto, la danza prima di me”




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