Prologo.

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Harry Styles è famoso.
Ha 28 anni, è bello come un Dio e con un sorriso potrebbe ottenere qualsiasi cosa, ma non lo fa. Sua madre gli ha insegnato che per godere davvero di qualcosa bisogna guadagnarsela, e lui lo ha sempre fatto. Anche la fama è arrivata lentamente, perché se ci pensa non c’è stato nessun momento nella sua vita non accompagnato dalla sua fedele macchina fotografica, perché è tutto iniziato con quella macchinetta usa e getta, con la quale fotografò giocattoli, cibo ed il suo gatto.
La cosa più bella è che quelle fotografie adesso sono esposte sul camino di casa sua, quasi come un cimelio, quasi come un ricordo onnipresente del suo viaggio.
Perché lui vuole raccontare, lui vuole essere amplificatore di quelle storie difronte alle quali la gente spesso gira la testa, perché se con quelle prime foto ha raccontato la sua di vita, adesso deve catturare tutto quello che i suoi occhi riescono a vedere, storie belle e brutte che si srotolano nella sua testa nel momento esatto in cui scatta una foto, storie di vite scintillanti o sporche di fango, storie che spera ogni giorno qualcuno possa sentire. E lo farà, anche oggi sta lasciando New York con la speranza nel cuore che le sue foto possano cambiare il mondo, spera ancora che se la gente verrà a vedere la desolazione attraverso la lente scura della sua macchina fotografica qualcosa cambierà, e lo crede davvero, anche seduto in questo treno troppo affollato, eppure quando vede il ragazzo seduto difronte a lui alzare lo sguardo sente quasi l’impulso di scrivere un intero romanzo sulla sua vita, sente l’impulso di fotografare la sua barba rada che si scontra con il candore della camicia, vorrebbe scrivere poesie su quelli che potrebbero essere i suoi sogni, e dimentica il bene superiore in favore di quegli occhi, perso nel piacere di quel senso di riconciliazione che un solo sguardo ha saputo portare, occhi che bruciano di tristezza, febbrili d’amore e tenerezze mai ricevute, e vorrebbe farlo lui, per altre cento vite ma le porte si aprono, lui si alza e si porta dietro la sua anima in bianco e nero. Ma le sue mani sono state più veloci, come ogni volta, senza che lui possa rendersene conto.
Louis Tomlinson invece è un qualsiasi ragazzo di 24 anni nel cuore di New York, lui spera ancora per poco. Ogni mattina si sveglia alle 6, spesso 6 e 10, ha rotto anche parecchie sveglie perché odia svegliarsi così presto, ma allo stesso modo odia arrivare in ritardo, quindi comprare una sveglia a settimana é l’unica soluzione.
Appena sveglio si fuma la prima di una lunga serie di sigarette, si appoggia alla finestra e aspira con forza i primi tiri, fino a che la nicotina non gli entra in circolo e permette al suo corpo di svegliarsi. E poi corre nella doccia, perché è già in ritardo, perché è sempre in ritardo secondo lui, mentre la macchina del caffè si accende alle 6 e 28 esatte mentre lui canticchia sotto la doccia con voce stridula.
Alle 6 e 33 il caffè è pronto, Louis esce dal bagno con un asciugamano intorno alla vita ed un altro a frizionarsi i capelli, si siede sul vecchio mobile color acqua marina a gambe incrociate, sorseggia la bevanda scura con pochissimo zucchero ed ufficialmente apre gli occhi sul mondo, occhi dello stesso celeste del mobile su cui è seduto, occhi che scrutano il mondo attraverso le lenti celesti che Dio gli ha donato e che usa come maschera verso la gente. Prende un oreo e lo mangiucchia con la bocca ancora piena di sogni, e poi corre in bagno, è già tardissimo, è sempre tardissimo.
Ed in un battito di ciglia si ritrova a specchiarsi negli occhiali di una ragazza giù in metropolitana, riflesso che gli restituisce un'immagine pulita e ordinata: le vans nere come i pantaloni che gli si modellano addosso come una seconda pelle, le caviglie scoperte, il maglioncino bordeaux che risalta contro il candore del colletto che ne fuoriesce, le labbra rosee tese all'insù, un leggero strato di barba, i capelli sparati verso il cielo. Probabilmente sua madre avrebbe sorriso davanti a quest'immagine, perché se c'era una cosa importante per Johanna era l'apparire sempre perfetti, ordinati, come sempre pronti per un servizio fotografico. E Louis questo l'aveva preso da lei, era fissato per il suo look, e per come la gente lo dovesse giudicare, ma il tempo, la caparbietà e forse un minimo di sfortuna, gli avevano insegnato che nulla è come sembra, ma le porte si aprono, e lui corre per accaparrarsi un posto, perché deve arrivare presto, e mentre il treno riparte, si infila le cuffie e controlla in modo maniacale la giornata che lo aspetta alla Juilliard, pensa al corso di ballo che lo aspetta e a Chris che non gli staccherà gli occhi di dosso, e spera incondizionatamente che noti i segni che ha sul collo, sulla schiena o sul petto, e che non gli rompi più le palle, che lo guardi senza nessuna pretesa,senza nessuna speranza, perché quelle prima o poi deludono, prima o poi uccidono, e lui lo sa bene. Ed é pronto a scendere, lui lo giura, ma un ragazzo dagli occhi chiari lo inchioda al sedile, con uno sguardo profondo e magnetico, carico di un insieme di esperienze che sembrano attivarsi appena i loro occhi si incrociano.
Ma lui deve scendere, deve allontanarsi da questo senso di ricongiungimento, di famigliarità, perché vorrebbe solo toccarlo, vorrebbe solo chiedergli dove lo ha visto, eppure sa di non conoscerlo, eppure vorrebbe farlo, e allo stesso tempo lo conosce già, ma si limita a dirgli addio, con un solo sguardo che non ha dedicato nemmeno a chi conosceva da una vita intera, dice addio in un lentissimo e lunghissimo silenzio ad uno sconosciuto che lo ha fatto sentire a casa.


Buon pomeriggio persone.
É la prima volta che pubblico qualcosa qui su wattpad e sono davvero in ansia.
Naturalmente non si capisce ancora nulla, ma spero  che possiate darmi una possibilità ed il vostro sostegno. Spero di leggere le vostre idee, o le vostre critiche, che come sapete mi fanno sempre piacere.
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3502666 Questo é il link efp, grazie mille.
Un bacio.

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