Capitolo diciassette.

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“Non ho intenzione di spogliarmi” si stringe forte in una mia vecchia ed enorme felpa rosa ed io cerco di non scoppiare a ridere difronte alla sua espressione spaurita e al suo sguardo indagatore che saetta in giro come se ci fosse un pericolo imminente nonostante sembri un bambino infagottato in questa maniera. I raggi di sole lo illuminano leggermente facendolo apparire come una fata appena uscita da una delle fiabe dei fratelli Grimm e tutto mi urla di fotografarlo per il resto della mia vita, tutto mi urla di non lasciare sfuggire neanche una delle piccole storie che i suoi occhi raccontano, neanche uno dei colori che il suo volto esprime, neanche uno dei sorrisi che dona al mondo senza neanche accorgersene
“Louis, ti prego, ci sono 25 gradi” faccio tranquillo con la macchina fotografica già impugnata e le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti “ed è 20 maggio, smettila” mi fulmina con lo sguardo prima di sedersi per terra ed incrociare gambe e braccia, mettendo il broncio e indurendo lo sguardo
“Non è la temperatura a spaventarmi, porca puttana” parla sottovoce come se potessimo svegliare qualcuno, come se avesse paura di rovinare la quiete e l’armonia che si respira in questo posto
“E cosa?” gli scatto comunque una foto perché le espressioni che fa soprattutto quando è arrabbiato sono qualcosa di meraviglioso ed io non ho intenzione di perderne neanche una
“Spero tu stia scherzando, okay?” alza anche il cappuccio che cade leggero a coprire i suoi capelli e buona parte del suo viso
“Louis sai che se non te la senti possiamo benissimo accontentarci di quelle in studio” mi piego sulle ginocchia ancora una volta come se stessi parlando con un bambino e lui alza gli occhi al cielo per poi buttarmi letteralmente le braccia al collo e baciarmi con impeto facendo scontrare le nostre lingue come se ne andasse della sua vita, con il suo piercing a grattarmi via le paure che non pensavo di avere, a riempire quel posto vuoto che solo lui è stato in grado di scovare
“Uno non usare con me la parola accontentarmi” mi morde il labbro inferiore e tira con forza i capelli facendomi gemere nella sua bocca “due non tagliare mai i capelli Tarzan” mi spinge all’indietro e si posiziona sul mio bacino “Terzo spogliati con me” ed io sono troppo ammaliato dalla sua lingua contro il mio collo e dai movimenti del suo bacino per notare come con maestria stia uscendo i bottoni dalle asole e stia provando a sfilarmi la camicia
“Che stai facendo?” lo blocco facendo leva sugli addominali e alzando entrambi non spostandolo però dalle mie gambe
“Non sarò l’unico pazzo nudo a Central Park” afferma con convinzione sfilandomi una manica, impegnandosi più del normale
“Non essere molesto” lo scaccio con la mano e lui si reputa profondamente offeso dal mio gesto tanto da tirarmi ancora una volta i capelli e questa volta con rabbia “sono le sei e mezza di mattina non c’è nessuno”
“E allora spogliati con me” ribatte ovvio iniziando a far scendere la zip della felpa “vuoi davvero che sia piacevole solo per te?” affonda il naso nel suo punto, dove non comunica con il mondo ma solo con il mio corpo, in maniera quasi ancestrale, in maniera animale, aspirando odori, sensazioni, battiti cardiaci
“Solo la camicia” mi arrendo facilmente come al solito, sfilandola del tutto e buttandola sull’erba “ora tocca a te” punto le mani all’indietro e aspetto che inizi lo spettacolo e lui scuote la testa e sorride
“Sembri un guardone lo sai?” domanda retorico alzandosi e dandomi le spalle iniziando a muoversi seguendo chissà quale motivo cantato nella sua testa ed io vorrei davvero godermi il momento ma non posso e recupero la macchina fotografica per immortalare ogni istante. Si sfila una manica e si volta a guardarmi, i raggi adesso più coraggiosi illuminano i suoi capelli caramellati portati oggi in alto
“Balla come se non ci fosse nessuno” sussurro suadente senza staccare gli occhi dalla sua figura e le mani dalla mia macchina fotografica, che mai come oggi sembra un prolungamento dei miei sensi, Louis che balla al centro del Shakspeare garden con le rose che sbocciano come sboccia la sua libertà appena si lascia andare alla musica “balla solo per me”.
“Ci sei solo tu” dice a labbra strette e a occhi chiusi, facendo scendere anche i pantaloni mostrandomi subito il sedere sodo e i muscoli delle gambe sempre più definiti “nella mia mente ci sei sempre solo tu”.
“Quando ti ho guardato per la prima volta provavo un sentimento” continuo a parlare perché sembra che faccia bene al suo corpo, alla sua fluidità, sembra che ci sia una connessione tra il suo corpo e la natura, balla per me, ma anche per le decine di rose in fiore, balla per me ma anche per scusarsi con la rugiada che sta calpestando a piedi nudi, balla per me ma anche per il sole che rende la sua pelle oro colato “sentivo un pensiero spingere per essere ascoltato, ma lo ignoravo” lui fa una piroette perfetta e mi domando come faccia sull’erba scivolosa ma lo osservo incantato “permettevo solo alla prima parte di salire in superficie, e il mio cervello continuava a ripetere guarda quel ragazzo” e immagino come sarebbe stata la mia vita se non mi fossi sforzato di ascoltare tutta la frase, se avessi lasciato perdere, se fossi uscito dal treno senza guardarmi indietro, se non avessi insistito quel giorno al locale di Liam, se non l’avessi inseguito, se non avessi combattuto, se non avessi fatto di tutto per conoscerlo, per ripulirlo da quella coltre di dubbi, paure e nebbia in cui si era nascosto, non ci sarei stato io, non sarei stato l’uomo di oggi, e non ci sarebbe stato lui, forse non sarebbe stato ancora in grado di amare, forse avrebbe ancora avuto paura dell’amore  “guarda quel ragazzo, sentivo, guarda quel ragazzo, solo adesso mi sono permesso di ascoltare l'ultima parte, adesso che sei meraviglioso, nudo, reale”
“Cosa dice?” la posizione che assume è perfetta per lo scatto che voglio, quello che mancava mentalmente al mio puzzle perfetto e nell'istante in cui mi guarda con gli occhi lucidi ed incredibilmente chiari, scatto
“Guarda quel ragazzo, lo amerai per sempre.”

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