"Quando la smetterai di farmi da guida turistica?" Mi tira dalla manica del giubbotto ed io mi fermo ad osservarlo solo per un momento, un momento in cui mi rendo conto che in realtà stona ancora in una metropoli come New York e allo stesso tempo ne è il perfetto esemplare. Un ossimoro che cammina, vive, si muove in un mondo frenetico e tecnologico ma pensa, agisce e tocca come se appartenesse ad un'altra epoca, ad un'epoca solo sua, sempre sua.
"Possiamo girarci a guardare la magnificenza dell'Upper West Side" gli spiego poggiando il mento sulla sua spalla e indicandogli la vastità di palazzi e le meravigliose decorazioni che accendono la città intera come un albero di natale "un vero e proprio villaggio che ebbe il suo boom edilizio solo a partire dalla fine dell'800"
"ma fai delle ricerche prima di portarmi fuori?" mi domanda sporgendosi per farmi abbassare il braccio intrecciando le sue dita con le mie e facendomi rimanere di sasso: due stupidi attoniti petto contro schiena con le braccia in avanti e fissare le proprie mani, mani che sono state giá intrecciate, si sono già toccate, ma mai così in bella vista, non così schiaccianti come uno schiaffo in pieno viso a tutte quelle convinzioni e falsi miti che ci vedono solo come amici.
"Chiamali per quello che sono" sbuffo a pochi millimetri dal suo orecchio, come vorrei che avessimo il coraggio di chiamare questa stupida ed immotivata connessione che dal primo momento in cui i nostri occhi si sono incontrati continua a schiacciarmi e a rendermi più piccolo, per farsi spazio, per farsi strada "appuntamenti, e mi sa che te ne ho promessi tanti"
"Tesoro" si volta fra le mie braccia non facendo dividere però le nostre mani, come se fossero una ricchezza troppo grande "non ne sarò così esperto, ma non credo che vada proprio così"
"sono un tipo preciso io" puntualizzo ricominciando a camminare "quando mi hai comunicato di non essere americano" faccio ammiccando al fatto che chiunque potrebbe accorgersi delle sue origini inglesi "e di non aver praticamente visitato la città, ho preso a cuore la causa"
"tipo beneficenza" definisce con fare distratto mentre si guarda intorno ed iniziano di nuovo a prudermi i polpastrelli, ogni volta torna più forte la voglia di fotografarlo, e questo sarebbe un attimo perfetto, con la luce che si posa sull'immensità di verde che ci circonda con lo sfondo rumoroso e moderno di macchine che sfrecciano e palazzi che sembrano quasi crescere ogni volta che ci ritorni e lui al centro, antico e moderno, aulico e peccato, ideale e carnale.
Mi allontano di pochi passi e lui non sembra accorgersi della mia assenza, ancora troppo preso dalla quiete che si inizia a respirare dentro questo staccato di vita parallela, mi abbasso fino a toccare le brecciolina con un ginocchio e lo catturo con lo sguardo adorante perso ad ammirare qualcosa che forse in molti non vedono, gli zigomi più tirati del solito che precipitano in un'espressione concentrata ma in modo positivo e i capelli scombinati dal vento. Ed i suoi occhi hanno il colore del mare.
"Ti ho visto" fa senza guardarmi davvero "e non credo sia professionale che una guida turistica faccia delle foto ai propri clienti"
"Ma fra amici questo credo sia possibile" e la parola amici esce come un fiotto di sangue, dolorosa ma involontaria e tremendamente necessaria, perché siamo questo, nonostante i baci che ci scambiamo coperti dal torpore di casa, nonostante i corpi che si cercano anche quando la razionalità cerca di fermarli, nonostante i sentimenti che crescono come rampicanti dentro e fuori i nostri corpi, siamo amici ed io ho promesso di non forzare la mano, e così sarà "giusto?"
"Giustissimo" e sorride, sorride falso, perché non sorridono gli occhi, perché non sorridono le rughette che si irradiano dal suo viso quando è davvero felice, perché non sorride quella stupida fossetta che ho notato bucargli la guancia quando è davvero felice, quando è felice con me, e vorrei pregarlo di mandare al diavolo le cose fatte per bene, vorrei pregarlo di baciarmi contro quest'albero fino ad essere arrestati per atti osceni in luogo pubblico, vorrei pregarlo di trasferirsi a casa mia e di indossare i miei maglioni per il resto della vita, ma tutto tace, e va bene così "andiamo?" ed i suoi movimenti sono falsi, il suo passo è incerto e allo stesso tempo sicuro, è entrato nel personaggio, se lo sta cucendo addosso, angolo per angolo, ed il mio Louis che cammina sinuoso ma adorante sta per essere soffocato dalla sua versione più algida e sprezzante, e i jeans strappati che oggi indossa sembrano ricucirsi, per ritornare alla perfezione, per raggiungere la perfezione
"andiamo" lo raggiungo con un pizzico di terrore nelle gambe e gli circondo le spalle con un braccio, lentamente, per paura di bruciare me o lui ancora non lo so, ma pregando internamente che mi permetta di entrare fra lui e la maschera e di addormentarmi lì, contro le pareti del suo corpo, perché a me non importa, io voglio ogni sfaccettatura, voglio la sua sfacciataggine come la sua propensione al estraniarsi, voglio le sue parole e voglio i suoi silenzi, lo voglio vedere correre per casa come un bambino e ballare su un palco come un etoile, voglio personaggi e maschere in alcuni momenti ed il suo corpo nudo al centro del mio letto anche se con tutti i vestiti ancora addosso, voglio tutto, voglio Louis, e il resto sembra non importare.
"Central Park è il polmone verde di New York" riprendo con la stessa serietá di poco prima nella voce, mentre lui si accende una sigaretta in contrasto con le mie parole "lungo 4 km e largo 800 metri presenta la bellezza di 9000 panchine ed in più 7 laghi" spiego mentre passiamo di fianco ad uno di essi, lui lo guarda ma la sua espressione è mascherata dalla nube di fumo che lo circonda e che usa come scudo "in una giornata di sole magari" e mi manca il fiato al pensiero che non sará più al mio fianco quando New York verrà di nuovo riscaldata dalla primavera "potremmo percorrere la strada che circonda il parco con i pattini come fanno in molti"
"quanto è lunga quella strada?" domanda più distante di prima ma non troppo da spaventarmi, visto che non è ancora sgusciato via dalla mia presa
"9,4 chilometri" rispondo meccanico facendogli spuntare un sorrisetto sul volto
"pensavo di trovarti impreparato ed invece ti sei mangiato qualche dépliant di troppo" ribatte facendo uscire il fumo attraverso i denti stretti
"Se ci capiterà di venire da queste parti a maggio invece" e la sua mascella scatta un pochino, un movimento impercettibile per chiunque, ma non per me che di lavoro noto i particolari e per passione venero lui "potremmo farci un giro per lo Shakespeare Garden, perché quando tutte le rose saranno fiorite il profumo sarà irresistibile e poi se permetti" mi guarda e vorrei fermarmi, e correre il più lontano possibile, perché il nero della pupilla si sta espandendo al resto dell'occhio o forse è il bianco che sta rubando luce e colore, so solo che in realtà non è con me "se permetti" riprendo tossendo leggermente per ritrovare la giusta determinazione "saresti bellissimo sotto quegli archi di rose, perderei la cognizione del tempo a fotografarti"
"e poi mi esporresti nel tuo studio?" domanda allontanandosi da me per andare a spegnere la sigaretta nell'apposito bidoncino "Come un soggetto qualsiasi"
lo guardo e scuoto la testa, insicurezze e parole al vetriolo che si fondono fino a diventare una cosa sola "come la mia musa" affermo tirandolo in un abbraccio stretto, uno di quegli abbracci in cui puoi piangere dalla gioia o dalla disperazione, in cui puoi tremare come se fosse il primo o l'ultimo, voglio solo stringerlo per fargli capire che non sarà mai uno qualsiasi per me "e adesso voglio vederti nudo in questo parco"
"Cosa?" mi guarda, i nostri visi troppo vicini per essere amici e troppo lontani per essere amanti, e vorrei baciargliela via quell'espressione sorpresa, vorrei baciargli la bocca per fargli capire che il nostro è uno di quei legami che vanno al di là del contatto fisico, delle etichette, dei dogmi sociali, che puoi chiamarlo come ti pare ma arriva sempre a colmare ogni mancanza, a coinvolgere ogni senso, a sconvolgerti le definizioni di amore, pace, felicità
"Spogliati di tutto quello che non serve, non voglio vedere nulla sul tuo viso se non felicità" gli accarezzo la guancia e le piccolo guerre d'amore che gli laceravano la pelle sembrano placarsi per un attimo "la foto che ho scattato prima è bellissima, perché eri nudo da ogni sovrastruttura, eri tu ed i tuoi occhi erano il mare, non lasciarti sopraffare" gli alzo il viso dal mento "guardami bimbo, lascia ogni brutto pensiero qui e andiamo sul carosello" sorride leggermente ed inizio a vedere la ritirata di quelle truppe che non volevano il bene del ragazzo fra le mie braccia "lasciati leggere anche se hai una scrittura orrenda, okay?"
"La mia scrittura è bellissima" mi intima con un dito contro il petto "ma ci saranno i cavalli bianchi?" domanda con la voce e l'eccitazione di un bambino e finalmente uno stralcio di sole
"Ci saranno tanti cavalli bianchi e parecchi bambini come te" lo prendo in giro pizzicandogli il naso "e poi andremo sulla pista di ghiaccio, ma ti avviso" gli circondo il viso con entrambe le mani "mi dovrai stare davvero attaccato, perché sono tremendo" si morde il labbro e vorrei pregarlo di non scappare, di non fingere, di non trattenersi, perché abbiamo un amore in sospeso "ti darà fastidio?" scuote la testa e ridacchia, in quel modo tutto suo, con quella luce leggera che sembra irradiare senza accorgersene
"Toccarti è forse la cosa che mi dà meno fastidio al mondo" copre le sue mani con le mie ed è di nuovo caldo, è di nuovo qui "potrei morirci tra le tue mani ma voglio dirti..." sembra essere incerto, spaventato ma mi guarda negli occhi e trova quella forza che sembrava mancargli "che non è mai colpa tua se mi estranio, se mi chiudo a riccio, se cambio umore" si morde ancora più forte le labbra e non vorrei mai vederlo così "non ti tocco perché lo fai tu, non mi sento obbligato"
"Louis non c'è bisogno" mi zittisce ponendo un dito sulle mie labbra per intimarmi di stare zitto
"ho bisogno di dirti che non ti ho mai toccato per caso, non ti ho mai sorriso per caso, perché da quando sono stato sbattuto fuori casa non ho avuto legami con nessuno, perché avevo paura di quella faccia dispiaciuta e scappavo da tutti quelli che mi toccavano perché la vedevo sempre quell'ombra" chiude il viso in una smorfia ma poi riprende "quella finta compassione, quel capire problemi che non hanno mai avuto e non hanno mai avuto il coraggio di stare ad ascoltare, ma con te è diverso, è sempre stato diverso, molti conoscono pezzi di me, nessuno sa tutto oltre Liam forse" sorride amaro "ma con te è cambiato tutto in un attimo, ogni volta che respiravamo la stessa aria, che ti toccavo, che mi guardavi, era un pezzo che mi sfuggiva e che tu sapientemente carpivi per metterli insieme, come un vecchio puzzle trovato in cantina" si avvicina pericolosamente e la voglia di baciarlo freme sotto la superficie "e sarà che sto impazzendo, sará che non conosci ancora ogni cosa ma fra le tue mani anche io mi sento completo, senza crepe, senza pezzi mancanti."
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Raccontami una storia.
FanfictionHarry cattura emozioni da quando è nato, ma ha la pessima abitudine di portarsi dietro pezzi di vita. Louis balla per vivere, o forse vive per ballare, questo non è così chiaro neanche a lui. Ma da quando i loro occhi si incrociano per la prima volt...