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-Claudio-

Gira. Gira tutto. La luce trafigge i suoi occhi con potenza, fa male. Li apre appena e li richiude. Che cazzo ho fatto ieri sera. Fitte alla testa. Il corpo pesante, immobile. Piano piano inizia a mettere a fuoco. Davanti a lui una poltrona che non conosce, dei vestiti sparsi che non sono suoi. Dove cazzo sono. Allarga la visuale, una mano sul suo fianco. È familiare ma la confusione nella sua testa è troppa. Si accorge di avere qualcuno completamente attaccato alla sua schiena, sullo stesso fianco, lo ricopre tutto come una coperta. È caldo, è piacevole. Un respiro profondo e tiepido gli arriva dietro l'orecchio. L'odore di questa persona lo conosce. Aspetta. No. Ma che cazzo ho combinato ieri. Si gira piano, non vuole svegliare chiunque ci sia dietro di lui. Si sfila piano da sotto il braccio della persona e senza fare rumore si gira sull'altro fianco. Rimane impietrito. Cosa ci faccio qui con lui? Come siamo arrivati qui? Panico. Il respiro aumenta. E poi si ferma. Mario mentre continua a dormire si riavvicina a Claudio, cerca il suo calore, la sua pelle. Si avvicina. Il suo viso ad un centimetro, il suo braccio riprende posto sul fianco di Claudio, la mano in fondo alla schiena e lo spinge verso di sé. Claudio, immobile, lo guarda mentre fa questi gesti naturali senza nemmeno svegliarsi.

Si sente rilassato e protetto. Non si era mai sentito così. Non aveva mai dormito con nessuno così vicino. La perfezione del suo viso lo destabilizza. Non può essere. Il naso, le labbra, le ciglia lunghe. Ti prego, non ti svegliare. E così, avvolto in quel calore, il sonno torna da Claudio che, guardando Mario, si riaddormenta.

Dopo non sa quante ore, Claudio si risveglia. È ancora confuso ma lentamente si ricorda di quella mattina. Mario. Il letto adesso è vuoto. Oddio. Dov'è, che cazzo faccio. Speriamo sia uscito. Inizia ad alzarsi, ha bisogno di bere acqua e di mangiare. Si guarda intorno e vede sul comodino accanto a letto un vassoio con un bicchiere grande d'acqua, uno di aranciata, dei biscotti e una mela. Senza neanche pensare a come siano arrivati lì, inizia a bere e mangiare senza quasi deglutire, con foga. Cazzo, molto meglio. Si alza in piedi e vede i suoi vestiti piegati sulla sedia. Mi ha spogliato lui? Al pensiero sente le sue guance riscaldarsi. Si veste in fretta, prende le sigarette, il cellulare e le chiavi della macchina. Andiamo via prima che torni. Apre la porta. Dove cazzo è l'uscita?... Passa la cucina, il salotto. Deve essere da quella parte. Eccola.

La porta si apre.

-Mario-

Mario si era svegliato e la prima cosa che aveva visto era stata il viso di Claudio. Lì, ad un centimetro. Dio santo. Avrebbe potuto guardarlo per ore. Quelle labbra erano la sua maledizione. Voleva sfiorarle delicatamente, voleva premerle forte, voleva mangiarle. Erano di una bellezza unica. Claudio sembrava in pace, dormiva tranquillo.

Chissà come sarebbe svegliarsi tutti i giorni così. Solo al pensiero, una stretta allo stomaco lo fa sognare. E la stretta scende giù verso l'inevitabile, verso la passione, verso la voglia. Sente il cazzo indurirsi fino a far male, fino a scoppiare. La voglia di Claudio dà dolore eppure è una droga.

Prima di perdere il controllo Mario si alza. Pensando alle sue sbronze e alle sue esperienze passate, sa che Claudio si sveglierà male, con la necessità fisica di bere e mangiare. Infilati i jeans, la maglietta e le scarpe, va in cucina e prepara un vassoio con l'essenziale per vivere in quelle condizioni. Torna nella camera, lo appoggia piano sul comodino, richiude un po' la tenda ed esce per lasciarlo riposare. Forse è meglio se va a comprare l'aspirina. Tira fuori una sigaretta dal pacchetto ed esce.

«Sono cinque euro e sessanta». Paga il farmacista.

«Grazie, arrivederci». E se è sveglio? Che gli dico? Come mi comporto? Perché l'ho portato a casa mia? Mentre pensa a tutto e niente, è arrivato davanti casa sua. Apre.

Claudio è lì davanti, lo guarda imbarazzato. Le chiavi della macchina in mano. Stava andando via senza dire niente.

«Ehi, sei sveglio».

Claudio non lo guarda negli occhi. «Mmh», è l'unica risposta che riesce a dare.

«Come stai?».

Che cazzo ne so, non so nemmeno cos'è successo. «Bene, come vuoi che stia».

«Be', non sembrava tu stessi bene ieri sera».

Claudio è irritato, non ha la situazione sotto controllo. «Chi sei, mia madre?».

Mario lo guarda confuso.

Claudio lo odia. «Che c'è? Appena bevo due bicchieri di troppo ne approfitti per portarmi a letto? Non che tu avessi altre speranze».

Mario è muto, appoggia le aspirine con forza sul tavolo davanti agli occhi di Claudio. «Mi fai pena».

Claudio è perso, non capisce un cazzo di quello che sente, totalmente fuori controllo. Sente quello che non vorrebbe sentire, un senso di colpa.

«Se non ti dispiace, quella è l'uscita, io vado a farmi una doccia ora che non devo più fare l'infermiere del cazzo per te». Mario esce dalla stanza.

Claudio è immobile. Dei flash iniziano ad apparire. Il Bambù, una sensazione sgradevole, quei due tizi, Mario. Si ricorda di averlo incontrato lì e poi di essere montato in macchina dalla parte del passeggero. Poi buio, un'immagine di Mario che lo porta dentro e gli mette la testa sul cuscino. Quella merda di ecstasy mi ha ucciso. Sente l'acqua della doccia che scorre. E sente il suo cervello che si annebbia. Tutto ciò che esiste di logico lo sta abbandonando e fiumi di endorfine lo stanno assalendo. Non è Claudio a decidere, è qualcosa di superiore che non si può controllare.

-Mario-

Stronzo. Vaffanculo. La prossima volta ti lascio lì.

Si è proprio rotto il cazzo. Si spoglia. Entra in doccia, l'acqua calda gli cade sul collo. La testa appoggiata al muro. Il rumore della porta della doccia lo fa girare di soprassalto. Senza nemmeno iniziare a capire, vede Claudio che lo guarda, che guarda tutto, che guarda lui nudo. «Ma che...».

«Shhh», dice Claudio sfilandosi la maglietta. «Non adesso».

«Ma...».

Claudio lo guarda con desiderio. «Ti prego», sussurra e si sbottona i pantaloni, sfilandosi tutto e rimanendo nudo. Mario perde la capacità di parlare, di pensare, di capire. Claudio schiude appena le porte, entra, e richiude.

«Grazie».

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