I'LL CALL YOU JAMES

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Charlotte prese due tovagliette azzurre, le posizionò sopra al tavolo, una di fronte all'altra, facendo lo stesso anche con i piatti, i bicchieri e le posate; poi aprì il frigorifero e prese varie bottiglie tra cui una di acqua, una di latte, una di succo d'arancia e una di coca cola.

Appoggiò anche quelle sopra la superficie, liscia, di legno e guardò il suo ospite, per vedere a che punto fosse con il pollo: lo vide con in mano una delle bistecche, indeciso su quello che doveva fare.

"Ti spiego come si deve fare? Guarda, è molto semplice: prendi il pollo, lo immergi nell'uovo, lo passi nella farina da tutti e due i lati e poi lo metti nell'olio della padella. Lo prendi con la pinza solo quando è bello dorato e croccante, credi di aver capito tutto?"

"Si, ho capito tutto"

"Benissimo, prepara tutta la scatola. Quello che non mangiamo a pranzo lo mangiamo a cena"

"Va bene, Charlotte" rispose Bucky.

Era la prima volta che la chiamava per nome e la ragazza non riuscì a reprimere un brivido lungo la schiena, decise di ignorare quella strana reazione accendendo la TV; stavano trasmettendo un telegiornale e decise di cambiare rapidamente canale, scegliendo uno dove stavano trasmettendo un programma culinario, perché aveva il timore di sentire qualche notizia collegata al suo ospite.

Meno cose sapeva e meglio era.

"Il pollo che hai preparato è molto buono" disse Charlie assaggiando il primo boccone, dopo un ringraziamento succinto mangiarono in silenzio, senza sentire la necessità di trovare qualche altro argomento di cui parlare; in verità, lei iniziava ad essere curiosa nei confronti di Bucky, c'erano domande che voleva fargli, ma non sapeva in che modo porle e se era davvero il caso di porle.

Il weekend trascorse tranquillo, senza che accadesse nulla di particolare nella convivenza, il lunedì mattina Charlie era in procinto di uscire per recarsi in libreria, quando le arrivò una chiamata da Elisa.

"Pronto? Elisa? Che succede?"

"Charlie, non serve che vieni in libreria"

"Per quale motivo?"

"Il capo ha detto che possiamo stare a casa, oggi, ma dobbiamo lavorare tutta la Vigilia di Natale"

"Cosa?!" esclamò la ragazza, rischiando di cadere a terra perché non riusciva ad allacciarsi le scarpe da ginnastica "ma aveva detto che non dovevamo lavorare la Vigilia, perché dobbiamo farlo? Nessuno verrà quel giorno!"

"Lo so, lo so anche io, ma lui ha detto che c'è sempre gente che può arrivare per acquistare un libro. Ha detto anche che dobbiamo sistemare il magazzino, inserendo al computer tutti i libri arrivati"

"Ma è un lavoro abominevolmente lungo!"

"Lo so, sono anche io senza parole. Adesso devo andare a fare la spesa per Natale, ci sentiamo questa sera"

"Si, ci sentiamo questa sera" mormorò Charlotte ponendo fine alla conversazione; strinse le mani a pugno, terribilmente arrabbiata per la notizia che l'amica le aveva dato: era assurdo! Come poteva pretendere, il loro capo, che lavorassero tutta la giornata del ventiquattro dicembre? Già s'immaginava mentre guardava, dai vetri della libreria, la gente che andava a festeggiare nei locali mentre lei era imprigionata dentro quattro mura.

Spostò lo sguardo dal telefono al divano, dove il suo ospite stava ancora dormendo, prima di ritirarsi nella propria camera per tornare a dormire.

La giovane non perse nemmeno tempo a spogliarsi, si buttò nel letto e si addormentò in poco tempo; si risvegliò qualche ora più tardi, a causa dell'odore di bruciato che proveniva dalla cucina.

Si recò subito nel salotto e vide il giovane uomo con in mano una padella, dalla quale usciva del fumo nero.

"Buongiorno"

"Che cosa stai facendo?"

"Sto provando a cucinare la colazione, senza successo"

"Lo vedo, lascia perdere la colazione, non ha importanza. Perché stavi preparando la colazione?"

"Perché mi sembrava corretto ringraziarti per la tua gentilezza. Per l'ospitalità"

"Stai parlando seriamente?" domandò Charlotte, si voltò a guardare Bucky e non vide nulla, nel suo sguardo, che potesse indicare una menzogna e sentì quasi un moto di commozione nei suoi confronti.

"Si, Charlotte"

"Puoi chiamarmi Charlie, se vuoi, preparo io dei pancakes" disse la giovane, con un sorriso sulle labbra, quella sorpresa inaspettata le aveva fatto tornare, incredibilmente, il buonumore "ascolta, oggi non devo andare a lavoro perché c'è stato un disguido. Stavo pensando... c'è una stanza che non uso mai, potremmo comprare una brandina e trasformarla in una camera da letto per te, che ne dici? Non credo che il divano sia comodo da usare come letto"

"Va bene"

"C'è un negozio, non molto lontano, ma dobbiamo prendere la macchina per arrivarci. Adesso facciamo colazione, poi partiamo subito".

I due giovani salirono nella macchina di Charlie e si ritrovarono ben presto imbottigliati nel traffico della Grande Mela, per ingannare il tempo la ragazza accese la radio, ma dato che non riusciva a trovare una canzone decente, decise di fare qualche domanda a Bucky, ma venne preceduta proprio da lui.

"Howard Stark aveva promesso che le macchine avrebbero volato, in futuro, sono trascorsi settant'anni e non vedo molte differenze"

"Howard Stark? Il padre di Tony? Tu... Tu conoscevi suo padre?"

"Si, lo conoscevo"

"E com'era?"

"Particolare"

"Ah, si vede che non conosci Tony! Posso farti una domanda? Quanti anni hai?"

"Intendi quanti anni avrei, in realtà, o quanti ne dimostro? Tecnicamente, avrei quasi cento anni se consideriamo il fatto che sono nato nel diciassette, durante la Prima Guerra Mondiale"

"Hai quasi cent'anni? È tantissimo! Anche Steve ha la tua stessa età?"

"No, lui è più piccolo di due anni"

"Oh, certo, è proprio un ragazzino in confronto a te. Dunque, se lui dimostra ventotto anni, tu ne dovresti avere trenta, giusto?"

"Si, tu quanti ne hai?"

"Ventiquattro"

"E da quanto tempo fai parte dello..."

"S.H.I.E.L.D? da quando avevo sedici anni. È una storia abbastanza complicata, ma sono contenta di essere stata trovata da Nick Fury. Non voglio nemmeno immaginare dove sarei ora se non fossi diventata un'agente, chissà chi mi avrebbe trovata"

"Sono sicuro che saresti stata in grado di sopravvivere ugualmente"rispose Bucky osservando un maxi schermo che proiettava la pubblicità di una nuova macchina.

"Bucky è il tuo vero nome?"

"È un diminutivo. Il mio vero nome è James"

"È un nome molto bello, perché non ti fai chiamare così?"

"Non lo so, mi hanno sempre chiamato in questo nome"

"Io ti chiamerò James, se per te non è un problema. Guarda, siamo arrivati" disse Charlotte parcheggiando la macchina davanti al negozio in cui dovevano recarsi.

Si recarono subito nel reparto dove vendevano brandine di diverse misure, il cellulare della ragazza prese a squillare e vedendo lampeggiare nello schermo la scritta 'numero privato' si allontanò un momento per rispondere.

"Pronto?"

"Charlie? Sei tu?"

"Steve? Steve perché mi stai chiamando con un numero privato?" domandò Charlotte spalancando gli occhi, per la sorpresa, già sapendo che ciò significava nulla di buono.


An Unexpected Host; Bucky Barnes (✔️) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora