7.

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Ricordava di essersi addormentato con la guancia che poggiava sopra la fronte di Michelle e la mano sulla coscia nuda della ragazza, così, una volta sveglio, accortosi di essere da solo, senza il calore della pelle di un'altra persona sotto alle dita e con il cuore ricolmo delle sensazioni di quegli ultimi giorni, percepì un leggero e malinconico senso di vuoto e solitudine.

Non che pensasse che Michelle lo avesse lasciato per scappare chissà dove senza mai più tornare. C'era troppo amore. Troppo calore. Troppa passione. Troppo dolore. Troppo bisogno di aiuto. Scappare non era consentito a nessuno dei due. Scappare non era contemplato. Scappare era ciò che aveva fatto nei confronti di Clarissa, nei confronti di Milano, ma a Milano non c'era amore, non c'era calore, nessuna passione, niente dolore, alcun bisogno di aiuto.

Si trattava piuttosto di quella necessità di non ritrovarsi mai a più di mezzo metro di distanza da Michelle. Quel cuore che batteva come non aveva più fatto per troppo tempo e ora era affamato, sveglio, carico, incapace di accontentarsi. Quel cuore che necessitava sempre di un altro secondo insieme. E poi un minuto. Un'ora. Tutta la vita.

Si alzò ancora leggermente assonnato spostando i vari plaid con cui si erano coperti durante quella notte sul pavimento, davanti al camino. Infilò sbadatamente la maglietta che era rimasta sul divano, i pantaloncini li aveva già addosso.

Cercò Michelle in cucina senza alcun risultato, ma ne approfittò per addentare un pezzo della crostata del giorno precedente. L'orologio a cucù segnava le nove del mattino. Si chiese quanto tempo avessero dormito, ma non ricordava assolutamente l'orario in cui si erano addormentati. Forse le prime ore della notte, forse le ultime. Salì al primo piano.

"Michelle?"

"Marco, sono in camera."

Percorse gli ultimi gradini della scala e poi, una volta arrivato al corridoio, si fermò sulla porta aperta della camera in cui si trovava Michelle, osservandola mentre cercava qualcosa nell'armadio, così indaffarata da non degnarlo nemmeno di un saluto, nemmeno di uno sguardo. La leggera sensazione di vuoto e solitudine svanì in un lampo.

"Ecco! Questa dovrebbe andarti bene!"

Michelle si girò di scatto brandendo qualcosa tra le mani. Una tuta da sci. La ragazza ora lo stava guardando dritto negli occhi con un sorriso compiaciuto stampato sul volto. Intuì le intenzioni di quest'ultima in un nanosecondo, ma comunque rimase spiazzato e confuso.

"Che cos'è?"

"Come cos'è, Marco?!"

"Sì, cioè, è una tuta da sci, ma.. perché?"

"Come perché? Andiamo a sciare, no?!"

"Michelle, non vorrei smorzare il tuo entusiasmo, ma si possono contare sulle dita di una mano le volte in cui ho messo gli sci ai piedi e c'è un motivo se non ho continuato diventando il nuovo Alberto Tomba!"

"Come sei tragico! Ci divertiremo, vedrai!"

"Non ho detto di sì!"

"Non ce n'è bisogno, lo dico io per te!"

Se da una parte l'idea di indossare degli sci non lo esaltava particolarmente, dall'altra notare quel puro piacere e quel divertimento nel tono di voce e nell'espressione di Michelle non poteva che convincerlo che passare una giornata sulle piste da sci fosse la decisione migliore che potessero prendere. Così ridacchio, proprio mentre la ragazza gli porgeva la tuta da sci facendogli segno di provarla. In meno di mezz'ora erano già in macchina diretti verso le piste di Pampeago.

Michelle indossava una tuta da sci bianca con alcuni inserti di colore rosa chiaro, sulla testa un cappellino di lana che immaginò poi avrebbe tolto per lasciare spazio al casco, anche questo rosa. Al contrario suo, lei era già completamente equipaggiata con sci, racchette e scarponi, che avevano riposto in macchina prima di uscire e che ora stava portando lui mentre si dirigevano al noleggio più vicino alle piste.

Proteggiti da me (#3) - Marco MengoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora