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Aveva smesso di piangere e singhiozzare, ma non di tremare. Il corpo di Nina, stretto al suo petto, vibrava insieme al suo.

Sia lei che Marco stavano tenendo un rigoroso silenzio, quasi come a voler percepire anche il minimo cambiamento nel modo di respirare della bambina. Anche quest'ultima aveva smesso di piangere, ma il suo petto si alzava molto più del normale ad ogni atto respiratorio, come se le mancasse l'aria, come se avesse bisogno di un maggior quantitativo di ossigeno.

Nei pochi istanti in cui non teneva lo sguardo fisso sul corpo di Nina, gettava qualche occhiata a Marco, totalmente concentrato sulla guida di quel veicolo che sembrava essersi messo in moto soltanto per miracolo e che cigolava vistosamente ad ogni buca o dosso che incontravano per strada.

Marco era preoccupato, esattamente come lei. Lo capiva da quello sguardo che dietro alla concentrazione nascondeva ansia e apprensione. Conosceva quella espressione, non era certo la prima volta che la incontrava e incrociava. Chissà quante volte, in passato, proprio lei era stata il motivo di tutta quella preoccupazione.

In un istante il Natale dell'anno precedente fu davanti ai suoi occhi. Immaginò i secondi in cui Marco entrava in bagno, la trovava nella vasca, completamente immersa nell'acqua. Lei non c'era in quel momento, non era cosciente, ma lui sì. E lui l'aveva salvata, lui aveva fatto di tutto per riportarla a galla, per riportarla in vita.

Ricominciò a piangere.

"Michelle.."

Non avrebbe dovuto guardarlo, non avrebbe dovuto incrociare il suo sguardo, quegli occhi, non in quel momento, non davanti a quei ricordi, ma lo fece, perché si rese conto di non riuscire ad impedirlo, di non riuscire a trattenersi.

"Stai tranquilla, okay?"

Fece per annuire, ma non si tranquillizzò e, anzi, riprese anche a singhiozzare, sentendosi stupida e infantile nel lasciarsi andare a quelle scenate quando avrebbe dovuto dimostrarsi forte e solida.

Poi, ancora prima di vederla, sentì la mano di Marco posarsi delicatamente sulla sua coscia e senza esitare o pensare vi posò sopra la sua, incrociando quelle dita, stringendole forte, senza alcuna intenzione di lasciarle andare, senza spostare lo sguardo dalla testa di Nina, posizionata poco sotto al suo mento.

Quando Marco si era offerto di accompagnarla, di guidare al posto suo, si era voltata a guardarlo e aveva provato un'unica volontà: quella di ritrovarsi tra le braccia del ragazzo, di appoggiare la testa sulla sua spalla, a contatto col suo collo, e di restare lì, immobile, anche soltanto per qualche secondo, o per tutta la vita. E quella volontà non era sparita. E non l'avrebbe nemmeno allontanata o disconosciuta, non quella volta, non in quella situazione.

Arrivarono davanti all'edificio che Mame gli aveva indicato circa venti minuti dopo essere partiti. Non c'erano luci accese, ma, d'altra parte, erano le prime ore della notte e, fortunatamente, non dovevano esserci state altre emergenze durante la notte.

Scesero velocemente dalla macchina e, altrettanto in fretta, si avviarono verso la porta dell'edificio. Non c'era alcun campanello, così Marco bussò, dapprima piano, poi, non ottenendo alcuna risposta, più forte, e ancora più forte. Alla fine, al quarto tentativo, si accese una luce al piano superiore. Un minuto dopo Giacomo, il medico italiano in missione a Kikambala, comparve davanti a loro.

"Ci ha mandati Mame, ha detto che hai visitato già altri dei suoi bambini. Lei.. Lei non respira. O, meglio, respira male. Ha pianto tutto il giorno e pensavamo fosse dovuto a qualche colica, ma dopo essersi addormentata ha cominciato a respirare male e.. e.."

Si rese conto di avere parlato alla velocità della luce, probabilmente aiutata anche dal fatto di poter parlare la sua lingua madre, ma, ancora prima di chiedersi se il ragazzo davanti a loro avesse capito qualcosa, aveva ricominciato a piangere in preda all'ansia e stringendo ancora più forte a sé Nina, come a non volersi separare da lei nemmeno per un istante.

Proteggiti da me (#3) - Marco MengoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora