23.

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Nina non era più soltanto una sua responsabilità.

Dal momento in cui Giacomo aveva espresso quel tremendo verdetto finale, Marco non aveva abbandonato la bambina neanche per un istante.

E non aveva abbandonato nemmeno lei.

Era ormai passata una settimana da quel giorno. Le crisi della bambina, come Giacomo aveva predetto, erano diventate molto più frequenti. Più di una volta aveva iniziato a piangere immaginando che quelli potessero essere gli ultimi istanti di Nina. E aveva pregato. Aveva chiesto aiuto alzando gli occhi al cielo. Poi la crisi passava, le lacrime si seccavano sulla sua pelle e la vita riprendeva.

Anche Mame stava vicina a Nina. Così come Claudia, Connor, Oliver, e il resto della combriccola, ma nessuno se ne preoccupava come Marco, forse neanche lei stessa.

E, di conseguenza, era da circa una settimana che viveva a stretto contatto con lui. Gli aveva impedito di portare nella stanza di Nina un'altra brandina. Non ce n'era bisogno. Lo voleva accanto a sé. Poco importava che stessero stretti in quel letto singolo. Nessuno dei due aveva avuto particolarmente voglia di dormire in quegli ultimi giorni.

Così di notte si davano il cambio. Due ore a testa. Ma spesso non avevano rispettato la tabella di marcia, spesso rimanevano svegli entrambi a parlare per tutta la notte, spesso, quando era toccato a lei dormire, aveva soltanto finto, per poter osservare con la coda dell'occhio Marco mentre si prendeva cura di Nina.

Quando gli aveva chiesto perché lo stesse facendo, perché non si limitava a stare vicino alla neonata durante il giorno, come in momenti alterni facevano gli altri, Marco le aveva risposto che lui era stato con lei la notte della prima crisi, e anche quella della seconda, e che dunque quello era un suo compito, lo sentiva come tale. Ma sapeva perfettamente che non le stava dicendo tutto. Sapeva che in parte era vero, che Marco non le stava mentendo, ma che c'era altro, e che quell'altro era lei.

E se da una parte si sentiva egoista, perché aveva sperato che Marco potesse starle vicino, ma questo, ora, implicava che anche lui avrebbe sofferto amaramente, dall'altra il pensiero di condividere quel momento così importante e così difficile soltanto con lui, in maniera così ravvicinata, rendeva più dolce il dolore, quasi più affrontabile.

Era ormai consapevole di quali fossero i sentimenti che provava per lui, di nuovo. Ma non avevano più affrontato la questione, mantenendo la parola che si erano dati una settimana prima. E, d'altra parte, che bisogno c'era di farlo? Non c'erano i baci, non c'era l'amore come atto fisico, ma quella vicinanza, quel bisogno di sentirsi e di stare vicini, di allontanarsi il meno possibile, di guardarsi negli occhi, di parlare attraverso essi.

Non era solo da Nina che non voleva separarsi.

C'era anche Marco e non voleva perderlo, mai più.

"Michelle?"

Stava attraverso l'ingresso che collegava la sua stanza con quella di Nina. Prima era stato Marco a lasciarla da sola per poter andare a fare una doccia, poi era stato il suo turno. Doveva essere da poco passata la mezzanotte. Quando si era chiusa la porta della stanza alle spalle Claudia stava già dormendo.

Voltò la testa di scatto avendo sentito il suo nome. La voce proveniva da fuori. La porta che dava sul cortile era aperta, ma non c'era abbastanza luce per capire chi l'avesse chiamata, così uscì.

Peter.

Era seduto sull'ingresso del dormitorio opposto al suo. Aveva tra le mani la chitarra. Camminò verso di lui.

"Stavi tornando da Nina?"

"Sì, mi sono concessa il tempo di una doccia. Tu che fai qui da solo?"

Proteggiti da me (#3) - Marco MengoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora