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"Pensate di ricominciare a parlare voi due?"

Si voltò verso Oliver, che aveva appena posto quella domanda, poi verso il sedile anteriore davanti a lei, dove era seduto Connor, poi di nuovo Oliver, ancora Connor. Immaginava che il suo migliore amico si fosse seduto accanto al taxista proprio per evitare di starle accanto o di dover incrociare anche soltanto il suo sguardo. D'altra parte non le rivolgeva la parola dalla sera precedente, dalla fine della discussione.

Così quella giornata era trascorsa quasi tutta nel totale silenzio. Quella mattina avevano perso l'aereo per un soffio e avevano dovuto attendere il primo volo del pomeriggio per l'Italia, per Bologna. Nel frattempo aveva scoperto che suo padre era partito quella mattina stessa per lavoro e che quindi non si trovava in città. Non sarebbe tornato fino alla metà del mese e a quella notizia si era lasciata andare ad un sospiro di sollievo, gesto che Connor non aveva di certo lasciato passare inosservato e a cui aveva risposto alzando gli occhi al cielo.

Per la prima volta da quando si conoscevano non riusciva a perdonare Connor. In realtà era capitato raramente che fosse lui a farla arrabbiare o a ferirla. D'altra parte il disastro in casa era sempre stata lei, certamente non Laurel o il suo migliore amico. Ma la sera precedente, pur riconoscendo una certa verità nelle parole uscite dalla bocca del ragazzo, quest'ultimo aveva esagerato senza rendersi conto di quanto determinate frasi potessero averle fatto male. Connor si era comportato in maniera insensibile e decisamente inappropriata alla situazione e non era da lui. E se da una parte riconosceva che la rabbia del suo migliore amico fosse lecita, dall'altra l'orgoglio e il dolore erano troppo forti in quell'istante per poterlo perdonare.

Ma quel giorno, ad accompagnarla lungo quel viaggio, c'era un altro dolore oltre a quello per il litigio della sera precedente. Un dolore che in realtà aveva imparato a conoscere bene in quei sette mesi, ma non abbastanza da poterlo limitare, da impedirgli di accrescersi a dismisura ora che non poteva più tornare indietro, ora che a distanza di pochi minuti avrebbe rivisto quella villetta, ora che i ricordi avrebbero ripreso a danzarle davanti agli occhi in maniera così viva e nitida.

Sapeva che sarebbe accaduto. Immaginava che il cuore per poco non le sarebbe saltato fuori dal petto e che le gambe avrebbero tremato in preda a potenti e continui brividi. Ma ingenuamente aveva pensato di potersi fare scudo utilizzando una qualche difesa, come se quei sette mesi a Parigi li avesse vissuti all'interno di un enorme bolla in cui c'era il dolore, c'era la rabbia, c'era l'agitazione, ma in un qualche modo queste si potevano alleviare, contrastare, aggirare durante il giorno e lasciarle scorrere durante la notte. E ora quella bolla era scoppiata in un nanosecondo. Era bastato poggiare i piedi sul suolo italiano. Era totalmente indifesa.

Sobbalzò davanti al cartello che indicava l'ingresso nel paese in cui era nata e vissuta sua nonna. Poi gli occhi divennero lucidi, il respiro ancora più difficoltoso, e in un attimo la mano di Oliver si posò sulla sua. Strinse forte quelle dita senza però riuscire a voltarsi. Ora lo sguardo era fisso, verso il basso, sul sedile davanti a lei. A malapena, con la coda dell'occhio, riusciva a vedere la nuca e i capelli di Connor davanti al poggiatesta.

Arrivò poi il momento del vialetto della villetta di sua nonna e a quel punto affondò le unghie nel polso di Oliver senza rendersene conto. Perché doveva essere così terribile? Non aveva vissuto quasi una settimana in quella casa senza sua nonna durante le feste di Natale? Come mai sembrava di essere lì per la prima volta dopo quella perdita se in realtà si trattava della seconda visita?

Ma poi, proprio nel momento in cui la disperazione stava per prendere il sopravvento, qualcosa catturò la sua attenzione. C'era una macchina davanti al cancelletto dell'abitazione e non si trattava di quella di suo padre. Era una Jeep. Una Jeep che conosceva bene, in realtà. Una Jeep che non vedeva da due anni. Così come da due anni non vedeva la proprietaria di quella vettura.

Proteggiti da me (#3) - Marco MengoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora