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7 MESI DOPO

La storia si ripeteva. Questo lo ricordava dai libri di storia stessi. E alle volte lo faceva in maniera così precisa e ridondante da chiedersi come potesse essere possibile che nessuno si fosse reso conto dei segnali, dei dettagli che ritornavano, delle stesse modalità di esecuzione.

Per questo quel giorno non riusciva ad abbassare la guardia. D'un tratto non credeva possibile che la storia capace di ripetersi fosse soltanto quella dei grandi del passato. Ogni storia poteva ripetersi. Anche la sua. E allora doveva stare attenta, captare i segnali, ricordare gli eventi così da riconoscerli all'istante. Perché ricordava bene cosa era successo sette mesi prima, durante il suo ultimo giorno a Parigi prima delle vacanze, e questa volta la storia non doveva ripetersi, avrebbe fatto di tutto per impedirlo.

Così, seduta a terra sul tappetto, con le spalle appoggiate al divano, sperava che il citofono non suonasse, così che nessuna Claudia sarebbe spuntata sull'uscio di casa, nessuna Claudia avrebbe cercato di convincerla a tornare indietro, e poi desiderava che il cellulare non squillasse, così da non ricevere alcuna brutta notizia, così da non sentire la terra tremare sotto ai piedi e le ossa cedere insieme ai muscoli. La storia non doveva ripetersi. Non quel giorno.

E poi non sarebbe partita. Questo non lo aveva ancora comunicato a Connor e Oliver. Le valigie dei due erano già pronte nella loro stanza, mentre lei non si era nemmeno preoccupata di recuperare la sua in cantina. Il volo di ritorno in Italia era fissato per il mattino successivo, ma loro non ci sarebbero saliti ed era sicura di riuscire a convincere anche i suoi compagni di questo. Perché la storia non si doveva ripetere soltanto quel giorno, ma anche quelli a venire. E non partendo avrebbe allontanato se stessa da questo rischio.

Ma la storia non era l'unico motivo per cui non voleva partire. C'era qualcosa di più grande. Qualcosa che riusciva a spaventarla molto più che una ripetizione di eventi. Una mancanza. Un vuoto. Una sensazione di angoscia mista a tristezza. Un macigno sul petto che non si era affievolito in quei sette mesi e, anzi, non aveva fatto altro che aggravarsi causando stati d'ansia continui, insonnia, malessere.

Non parlava quasi mai di sua nonna, nemmeno con Connor. Era impossibile negare i ricordi, ma non riusciva ancora ad esprimerli ad alta voce. Il silenzio era diventato la soluzione più semplice, ma non la più efficace. Spesso nel cuore della notte aveva sentito la necessità di urlare, di fare a botte con quella realtà così pesante e inconsolabile, e in fin dei conti aveva sempre saputo che parlarne con qualcuno, ricordare ad alta voce, piangere sulla spalla di un'altra persona non avrebbe fatto altro che acquietare le sue pene, anche soltanto per qualche ora. Ma la verità era che non cercava aiuto. Non voleva consolazione. Quel dolore le era penetrato nelle ossa e nel cuore diventando parte di lei. Ormai aveva imparato a conviverci, tanto da non credere che potesse essere possibile una separazione futura.

E poi c'erano le bugie. Quelle che aveva raccontato a suo padre, a sua madre, a Laurel e al resto dei suoi cari. Per sette mesi aveva continuato a rispondere al telefono con voce squillante e allegra, fingendo di stare bene e parlando a ruota libera, senza interruzione. Ma non era così. E non serviva guardarsi allo specchio per notare il viso stanco, le occhiaie scure, le guance incavate, le coste in bella vista, le anche sporgenti e appuntite. Non era stata una sua scelta quella di ridurre la quantità di cibo ingerita. Era il suo stomaco che si rifiutava di mangiare e che le dava quella sensazione di nausea anche soltanto dopo una mela o dopo due fili di pasta. Aveva perso altri sei chili, arrivando a pesarne quarantadue. Quindici in meno rispetto a quelli che la sua altezza richiedeva secondo le tabelle standard. Ma soltanto Connor e Oliver erano a conoscenza di questo.

Non c'erano altri motivi per non ritornare, o almeno si era convinta di questo, ma questi le sembravano più che sufficienti.

Poi il citofono prese a suonare risvegliandola da quel turbinio di pensieri. Non aspettava nessuno. Connor e Oliver avevano le chiavi. La storia non doveva ripetersi. Non poteva permettere a nessuna Claudia o a chi per lei di entrare in casa sua e di riempirle la testa di idee e concetti malsani. Quindi restò ferma, immobile, fino al secondo suono.

Proteggiti da me (#3) - Marco MengoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora