12 - Chi tato ortine?

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Le granate, in parabola discendente e con la loro accelerazione costante, li sorvolarono e caddero alle loro spalle.

Nessuno muoveva la testa per voltarsi a guardare, ma ogni volta che si sentiva il suono di una granata tutti si sollevavano sulle staffe e poi si riabbassavano, come in seguito ad un comando.

Ognuno tratteneva il respiro fino a quando la granata passava oltre.

Le varie differenti facce avevano un'identica espressione: senza muovere la testa si sbirciavano tra loro, osservando incuriositi l'effetto della situazione sui visi dei compagni.

Tutti, dal comandante Denisov all'ultimo trombettiere, avevano attorno alle labbra un tratto comune di eccitata emozione.

Era la tensione della determinazione alla lotta.

Il capoguardia osservava serio i soldati.

Sembrava cercare qualcuno da mettere in punizione.

Al passaggio di ogni granata, il junker Mironov si abbassava.

Sul lato sinistro, in sella al suo azzoppato ma imponente Corvino, Nicolaij Rostov esibiva l'esaltazione gioiosa che hanno gli scolaretti che si sentono perfettamente preparati quando vengono chiamati per sostenere un'interrogazione davanti a tutti.

Si sbirciava intorno con un bagliore chiaro negli occhi.

Come per far notare a tutti quanto riusciva a tenere un portamento corretto di fronte alle cannonate nemiche.

Anche sul suo viso, però, inconsapevolmente aveva fatto apparire quell'identica tensione intorno alle labbra.

Una per lui nuova, severa, espressione.

La piccola figura massiccia di Denisov, con le corte le dita pelose e la mano nervosamente intenta ad agitare la sciabola sguainata per aria, era indaffarata a cercare di tener fermo il suo irrequieto morello Beduin.

Volteggiava davanti allo schieramento, urlando:

- Chi é quello che fa gli inchini, laggiù? ...Junkev Mivonov! ...Non si fa così: guavdate me!

La faccia da pugile col naso rotto di Vas'ka Denisov era più rossa del solito (bluastra nella zona dove aveva rasato la barba).

Era identica a com'era di solito la sera, soprattutto se aveva bevuto un paio di bottiglie.

Piantò gli speroni dei piccoli stivali nei fianchi di Beduin, senza pietà per la povera bestia.

Impennò la nera testa riccia come fanno gli uccelli prima di bere (quasi cadendo all'indietro) e partì.

Galoppò verso il fianco opposto dello schieramento.

Gridava a tutti, con voce rauca, di controllare le pistole.

Quando fu vicino al capitano in seconda (Kirsten), gli chiese:

- Allova? Com'è la situazione?

Questi gli si avvicinò tenendo tranquillamente al passo la sua grossa e docile giumenta.

Kirsten, coi suoi lunghi baffoni, era serio come di consueto.

Aveva solo negli occhi una luce più brillante.

- Niente da fare... Mi sa che di menare le mani non se ne parla... Vedrai... Si torna indietro...

- Al diavolo! Chissà cosa decidevanno di favci fave...

E notando la faccia e la postura di Nicolaij gli sorrise con aria di approvazione e gli gridò:

- Vostov! Ci siamo, eh?!

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