30 - Scannarsi per uno stivale

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A Rostov tremava la mascella: probabilmente aveva la febbre.

Lo fecero salire sulla "Mammina di Matteo", al posto dell'ufficiale morto.

Il cappotto sul quale lo fecero sedere era macchiato di sangue; lui si macchiò i calzoni e le mani.

Tušin gli si avvicinò:

- Cos'avete, ragazzo? ...Siete ferito?

- Solo una frattura, credo...

- Ma vedo del sangue...

Un artigliere gli spiegò:

- È dell'ufficiale, eccellenza...

E si mise a pulire il sangue con la manica del cappotto, come per scusarsi della scarsa pulizia del cannone.

Con l'aiuto dei fanti, che faticosamente tirarono a braccia i cannoni su per la collina, il reggimento raggiunse il villaggio di Gunthersdorf e lì fece una sosta.

I soldati si ripararono nelle case.

Fuori era talmente buio che non si riuscivano a distinguere le divise dei soldati da dieci passi di distanza; il rumore degli spari stava cominciando a diminuire, ma all'improvviso (a poca distanza sulla destra) si udirono grida e fucilate.

Nel buio spiccava il bagliore degli spari: era l'ultimo attacco dei francesi

I nostri risposero immediatamente, precipitandosi fuori dalle case del villaggio.

Lì i cannoni non potevano essere utilizzati, così Tušin ed i suoi artiglieri restarono a guardarsi in silenzio, in attesa di conoscere la loro sorte.

Da una strada laterale sbucarono alcuni soldati che parlavano animatamente:

- Tutto a posto, Petrov?

- Gliele abbiamo date di santa ragione, caro mio... Adesso non si faranno più vedere...

- Non si vede niente... Hai visto come se le davano tra di loro? ...Non si capisce niente: è troppo buio, ormai... Ma non c'è qualcosa da bere?

A poco a poco gli spari tornarono a diradarsi: ancora una volta i francesi erano stati respinti.

I nostri ripresero a ritirarsi, procedendo alla cieca nella più completa oscurità; i cannoni di Tušin vennero di nuovo trascinati, circondati dalla vociante colonna sonora della fanteria.

Era come se un invisibile ed oscuro fiume solido stesse scorrendo, accompagnato in tutta la sua lunghezza da un brusio di speranze e dal parlottare di zoccoli e ruote.

In mezzo a quel borbottìo generale, le voci lamentevoli dei feriti si sentivano più distintamente di qualsiasi altro suono.

Nell'oscurità della notte, il buio che avvolgeva l'esercito traboccava di quei gemiti, che si fondevano indistinguibili nelle tenebre.

Ad un certo punto quella massa fluida divenne più agitata: trasportata da un cavallo bianco, una figura accompagnata dal suo seguito disse qualcosa.

- Che cosa ha detto?!

- Dove si va, adesso?

- Ci fermiamo?

- Ci ha fatto i complimenti?

Avide domande pervadevano quell'indistinto ovunque.

Qualcuno doveva aver ordinato a quelli davanti di fermarsi, perché tutta quella massa che si spostava si fece più concentrata e rallentò, fino a divenire immobile.

Tutti rimanevano dov'erano, in mezzo a quella strada fangosa.

Vennero accesi dei fuochi e le parole divennero più distinguibili.

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