11 - Gli inchini di Mivonov

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Dopo che due squadroni degli ussari di Pavlovgrad furono transitati, la fanteria tornò ad infilarsi nel ponte come in un imbuto.

Gli ultimi carri, gli approvvigionamenti e l'ultimo battaglione passarono oltre più in fretta che potevano.

Finalmente, dalla collina dove c'erano le nostre batterie, videro che dopo il ponte erano rimasti solo due squadroni di ussari.

Più in là (dove la terra si alzava sopra di loro, in lontananza) si scorgeva il nemico che si avvicinava.

Dalla valle in cui scorrevano i fiumi (dove si trovavano gli ussari) non si poteva vedere nulla, perché una collina distante circa mezzo chilometro chiudeva l'orizzonte: in quei cinquecento metri di terreno incolto si potevano vedere solo i gruppetti sparsi dei ricognitori cosacchi.

Ad un tratto si vide il gruppo di cosacchi più in alto scendere a valle al trotto; sopra di loro anche gli ussari videro apparire sulla collina dei pezzi di artiglieria, e delle truppe con i cappotti blu.

Era l'esercito imperiale francese.

Nei cinquecento metri che separavano i francesi dagli ussari non c'erano altre forze, se non i piccoli gruppetti di cosacchi.

Gli ufficiali e gli uomini del capitano Denisov si sforzavano di parlare del più e del meno e di guardare qua e là con indifferenza.

In realtà pensavano soltanto a quello che succedeva sopra alle loro teste, sulla montagna.

Scrutavano, di continuo, ogni movimento insolito dell'orizzonte che potesse segnalare i soldati nemici.

Dopo l'ultimo colpo (quello che aveva sfiorato il ponte) i francesi avevano smesso di sparare.

Questa quiete rendeva più acuta nell'animo di tutti la consapevolezza di quella facilmente individuabile striscia di "terra di nessuno", minacciosa, indesiderabile ma attraente, così vicina e così lontana, che divideva gli schieramenti nemici.

"Un passo soltanto dentro quella striscia, che ricorda il confine tra la terra dei vivi e quella dei morti, e... solo domande, dolore, morte. Cosa c'è di là? Chi c'è di là? Là in fondo, oltre quel campo, e quell'albero, e quel tetto illuminato dal sole? Nessuno lo sa. E quanto, invece, si desidera saperlo. Oltrepassare questa linea fa paura, ma contemporaneamente vorremmo farlo, e sappiamo bene che prima o poi dovremo varcarla, e conoscere cosa c'è di là, dall'altra parte della linea, nello stesso identico modo in cui siamo inevitabilmente coscienti che sapremo, prima o poi, cosa c'è oltre, dopo la morte. Eppure ora sei forte, sano, allegro, eccitato, e circondato da altri uomini sani, inquieti, eccitati come me"

Questo é ciò che ogni uomo sente, anche se magari non lo pensa, quando si trova in vista del nemico. Uno speciale tipo di esaltazione accompagna questa sensazione, una gioiosa amarezza per tutto ciò che accade in quegli istanti.

Sulla collina in cui si trovava il nemico apparve il fumo di uno sparo.

Una granata volò sibilando sopra le teste degli ussari.

Gli ufficiali, che erano in gruppo, si sparpagliarono raggiungendo i loro posti.

I reparti ussari cominciarono ad allineare con cura i cavalli.

Non volava una mosca.

Tutti guardavano dritto davanti a sé, verso il comandante (e verso il nemico) aspettando gli ordini.

Un secondo ed un terzo proiettile partirono.

I colpi erano chiaramente diretti contro di loro.

Le granate, in parabola discendente e con la loro accelerazione costante, li sorvolarono e caddero alle loro spalle.

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