28 - L'accozzaglia esitante

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Quando i primi francesi sopravvissuti alla carica degli ussari arrivarono ai margini del bosco, i soldati della fanteria russa vennero colti di sorpresa ed iniziarono a fuggire.

Scappavano da tutte le parti.

Qualche sciagurato lanciò quel grido "Siamo circondati!" che risulta essere una pessima scelta, in battaglia: questa brevissima frase fu sufficiente per trasmettere un attacco di panico a tutto il reggimento, come un virus:

"Accerchiati!"

"Isolati!"

"Siamo spacciati"

Gridavano i fuggitivi.

Il comandante della fanteria sentì, alle sue spalle, un eco di spari e grida che provenivano dal bosco lontano; dove il suo reggimento era dedito al taglio della legna.

Capì subito che doveva essere successo qualcosa di disastroso, ed il suo primo pensiero fu:

"Sono stato per tutti questi anni un ufficiale esemplare... non ho mai avuto niente di cui vergognarmi... non devo assolutamente dare al quartier generale un motivo per potermi accusare di negligenza o inefficienza!"

Dimenticò totalmente i dissapori con Bogdanovich.

Dimenticò la sua dignità di comandante.

Dimenticò i rischi e gli scrupoli di autosopravvivenza.

Si aggrappò al pomello della sella e spronò il cavallo, galoppando verso il reggimento e gettandosi sotto una grandinata di pallottole che gli cadevano intorno (fortunatamente mancandolo).

"Davo capire cosa é successo, e se ho fatto un errore devo assolutamente rimediare... A qualsiasi costo... sono un ufficiale con ventidue anni di servizio esemplare... non sono mai stato oggetto di critiche... di certo non permetterò che qualcuno mi esponga proprio oggi all'onta della vergogna".

Dopo aver galoppato in mezzo ai francesi, uscendone miracolosamente incolume, raggiunse un campo dietro al bosco ceduo.

Vide i suoi uomini che correvano all'impazzata giú per la valle; i soldati russi in fuga ignoravano completamente gli ordini degli ufficiali.

Era il classico "attimo di esitazione" che decide le sorti di una battaglia.

Il comandante si chiedeva:

"ma quest'accozzaglia disordinata di soldati darà ancora retta alla voce del suo comandante? ...O mi ignoreranno e continueranno a scappare?"

Provò a gridare come faceva di solito per ottenere rispetto; divenne rosso in volto ed era talmente furioso che la sua faccia appariva totalmente sfigurata (non si somigliava neanche più).

Nessun effetto: i soldati continuavano a correre e gridare; sparavano al vento e disobbediano agli ordini.

La titubanza nell'eseguire gli ordini che segna il destino delle battaglie si era a tutti gli effetti tramutata in panico.

Ad un certo punto il comandante (non si sa se per il gran gridare o per il fumo della polvere) ebbe un attacco di tosse e si arrese all'evidenza, fermandosi muto in disparte.

Lì assistette ad una scena del tutto imprevista: ad un tratto i francesi che stavano attaccando si misero a scappare, scomparendo, dai bordi del bosco.

Dietro di loro comparvero dei fucilieri russi; si trattava della compagine guidata da Timochin, che (unica tra tutte le altre) aveva mantenuto il suo assetto, rimanendo in agguato in una trincea.

Timochin (armato solamente della sua spada) attaccò di sorpresa i francesi; piombando sul nemico con un urlo talmente selvaggio e con una tale convinzione da avvinazzato che questi, colti di sorpresa, avevano gettato a terra i moschetti e si erano messi a correre.

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