Capitolo tre.

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Staccare la mente. Muovere una gamba dopo l'altra. Guardare avanti, senza distrarsi. Respirare affannosamente. Cuffie alle orecchie. Musica al massimo volume. Correre.

Correre era ciò che Louis faceva all'alba, sporadicamente. Lo faceva per mantenersi in forma, ma soprattutto per scaricare la tensione dovuta all'adrenalina che ogni volta provava. Spesso era dovuta all'avvicinarsi di un incontro di pugilato particolarmente importante e difficile, ma quel giorno dipendeva da tutt'altro.

Finita la solita sessione di corsa, tornò alla sua roulotte sudato e col fiatone. Già da lontano capì che c'era qualcuno ad aspettarlo, seduto su uno dei tre gradini all'ingresso e se da un lato sperava di non rivedere lo stesso ragazzo della sera precedente, dall'altro lato voleva rivederlo, perché era davvero un bel vedere per i suoi occhi.

Ad aspettarlo c'era proprio lui, Harry, con una sigaretta tra le mani. Quel ragazzino che dalla sera prima era nei suoi pensieri e non ne era più uscito. Non si spiegava neppure lui come fosse successa una cosa del genere, ma l'unica cosa che continuava a fare era immaginarsi quel riccio sul suo letto, sul tavolo, contro la parete, nella sua macchina, ovunque e sempre allo stesso modo: nudo e pronto per lui. Lo desiderava ardentemente.

Louis era un tipo che quando voleva una cosa faceva di tutto per prendersela, e anche se in quel caso non credeva fosse una cosa giusta da fare se ne fregò altamente. Non appena gli fu vicino, Louis poté ammirare il suo ampio sorriso contornato da due fossette che lo rendevano, se possibile, ancora più bello.

«Buongiorno, non hai freddo?» gli chiese, vedendolo con addosso solamente una semplice canottiera che gli stava rendendo le cose non facili, dato che in quel modo poteva notare i bicipiti allenati e frenò la voglia di avventarsi su essi per baciarli e leccarli.

Louis poggiò le mani sui fianchi e scrollò le spalle. «Ho corso tutto il tempo, quindi no. Cosa ci fai qui?» andò dritto al punto, osservandolo con attenzione.

Harry cacciò il fumo dalla bocca, lentamente, come se volesse prendersi il suo tempo per meditare sulla risposta. «Per portarti il caffè» ribatté, prendendo il bicchiere colmo del liquido scuro ai suoi piedi per porgerglielo.

Louis inarcò un sopracciglio. «Perché?»

«Perché mi andava di farlo. La smetti con le domande e bevi, per favore?»

Il liscio allora sospirò e fece come gli era stato chiesto, beandosi della caffeina. «Harry, ascolta» riprese a parlare, dopo aver terminato il caffè. «Non fingevo quando ieri ho detto che non vorresti farti ved..»

«So delle voci su di te» lo interruppe.

Louis corrugò la fronte. «Davvero?»

Harry annuì. Quella stessa mattina, infatti, quando era andato in cucina per fare colazione aveva affrontato il discorso con sua madre, che come ogni mattina era seduta, impegnata a sorseggiare lentamente il suo amato caffè, sfogliando il giornale.

«Buongiorno tesoro» gli aveva detto, col solito dolce sorriso.

«'Giorno mamma» le aveva risposto, dandole un bacio sulla guancia, come faceva solitamente. Era abituato a quei piccoli gesti e se qualcuno lo avesse rimproverato di non essere più un bambino, lui gli avrebbe risposto che non bisognava essere bambini per dimostrare di amare la propria madre, secondo lui era necessario farlo sempre, anche da adulti.

«Ieri ero da Tesco» aveva iniziato a dire, dopo aver terminato la colazione. «E c'era un commesso preso di mira da delle persone del nostro quartiere» aveva mentito, naturalmente.

Prima di uscire dalla sua camera aveva meditato attentamente su cosa inventarsi, e quella menzogna sembrava essere perfetta. «Lui non se n'è accorto perché era abbastanza distante da loro. Io ero nelle loro vicinanze, ma comunque non capivo bene cosa stessero dicendo di lui» la madre lo guardava in attesa, preoccupata del continuo del racconto.

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