Capitolo diciassette.

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Non faceva altro che torturarsi le dita, nervosamente.

Non faceva altro che mordicchiarsi le labbra, nervosamente.

Non faceva altro che spostarsi il corto ciuffo di capelli, nervosamente.

Non faceva altro che guardarsi intorno e muovere la gamba destra su e giù, nervosamente.

Harry era decisamente nervoso. Era seduto di fronte un piccolo tavolo grigio e logoro, in una stanza altrettanto grigia e fredda. Sudava freddo, in attesa di veder arrivare la persona che, ne era sicuro, in quel momento lo stava odiando come mai nessuno l'aveva fatto.

Il riccio si guardò intorno e, per ammazzare il tempo ma soprattutto per scacciare via il nervoso per anche solo un paio di minuti, studiò le persone presenti insieme a lui in quella stanza. Vide alcuni di loro parlare silenziosamente tra loro, altre ancora guardavano la persona di fronte a sé con le lacrime agli occhi, altre invece parlavano all'altra in modo deciso e freddo.

C'erano una decina di persone e ognuna di esse aveva un atteggiamento differente. Harry si chiese quale sarebbe stato il suo non appena la persona che stava aspettando sarebbe arrivata e l'avrebbe avuta a pochi centimetri di distanza, occhi negli occhi. Non poté pensarci troppo a lungo dato che, qualche secondo dopo aver formulato quel pensiero, la porta della stanza si aprì.

Harry trattenne il respiro mentre una guardia fece il suo ingresso nella stanza, trascinando proprio vicino al suo tavolo la persona che stava aspettando e che camminava con lo sguardo basso, ma Harry poté comunque notare l'espressione totalmente apatica e indifferente, e forse anche sofferente. Non riusciva ad interpretarla a quella distanza.

Louis indossava una consumata tuta arancione, uguale a quella degli altri detenuti, con l'unica differenza che lui la stava indossando per un fottuto malinteso. Il liscio sollevò finalmente lo sguardo una volta arrivato al tavolo, per vedere la persona che lo stava attendendo.

Louis pensava ci fosse il suo avvocato, che da un paio di giorni a quella parte andava a parlargli costantemente, aggiornandolo sulla situazione. Ecco perché fu sorpreso di vedere Harry, con il labbro inferiore tremante e stretto tra i denti, le mani intrecciate tra loro, le dita a muoversi nervosamente e lo sguardo titubante puntato su di lui.

Louis poté persino notare il movimento della gamba che Harry continuava a muovere su e giù per il nervoso, sotto al tavolo. Quando poi il riccio si alzò, probabilmente per abbracciarlo, toccarlo o semplicemente salutarlo con un bacio sulla guancia, Louis distolse lo sguardo dai suoi occhi e si sedette perché sapeva che non gli era permesso.

Il liscio poggiò le mani unite sul tavolo, squadrando il ragazzo di fronte a sé con un cipiglio confuso. Harry deglutì quando spostò lo sguardo alle manette che Louis portava su entrambi i polsi, e tornò a sedersi, i movimenti molto più lenti del previsto.

«Ciao, Lou» sussurrò, guardando quelle iridi blu che avevano ormai perso quel luccichio che adorava e che ogni volta lo faceva rabbrividire.

«Avete quindici minuti di tempo» disse severamente una guardia ferma accanto al loro tavolo, senza mostrare alcun segno di volersi allontanare.

Harry annuì, aspettando una risposta al suo saluto da parte di Louis. Il liscio respirò profondamente, distogliendo lo sguardo da quegli occhi per un paio di secondi, prima di tornare a guardarlo, con freddezza.

«Perché sei qui?»

Harry si mosse in maniera agitata sulla sedia, che emise un rumoroso scricchiolio. «Per parlarti?» uscì più come una domanda che come un'affermazione, ma lo sguardo di Louis di certo non lo aiutava ad essere tranquillo e sicuro.

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