Capitolo diciotto.

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Scusatemi per la mia imperdonabile assenza. Ho avuto un esame importante e difficile da preparare, che non mi lasciava neppure mezz'ora di tempo libero, e in più subito dopo sono stata malata e ho passato giorni interi a letto, poi sono iniziate le lezioni all'università. Queste non sono finte giustificazioni ma voi siete liberi di credermi o meno, io vi chiedo solo scusa per questo mio comportamento inaccettabile. Non mi sono dimenticata di voi, né della storia, anzi! Ho già tutta la storia in mente e se avessi avuto la possibilità di aggiornare ogni giorno l'avrei già conclusa.
Spero continuate ad esserci e a leggere la storia, io cercherò di essere più presente. Perdonatemi, se potete e volete. Vi voglio bene.

Harry tirò su col naso, sollevando il volto e socchiudendo gli occhi quando l'aria fresca si scagliò sul suo viso. Tutto il corpo ancora tremava per aver visto Louis per pochi minuti, in quella tenuta così fredda e così non adatta a lui.

«Non merita di stare rinchiuso qui. Non ha fatto nulla di male» disse alla guardia al suo fianco, il ragazzo che l'aveva preso da quella stanza e scortato fino a fuori di lì. «È innocente, te lo posso assicurare!»

Il ragazzo scrollò le spalle, con noncuranza ma comunque attento alle sue parole. «Hai le prove?» Harry si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo lentamente, scuotendo la testa. «Allora mi dispiace, ma non puoi assicurarmelo» continuò, seriamente dispiaciuto.

Harry si portò una mano tra i capelli e vagò con lo sguardo all'ambiente intorno a sé. «Ve lo dimostrerò» disse con sicurezza, annuendo alle sue stesse parole prima di spostare il suo sguardo deciso sull'altro ragazzo. «Vi dimostrerò la sua innocenza.»

La guardia, di fronte alla sfrontatezza e sicurezza del ragazzo, sorrise dolcemente. «Noi siamo qua, se hai qualcosa tra le mani non esitare a venire da me. Da noi» si corresse, schiarendosi la voce poco dopo.

Harry annuì mestamente, asciugandosi col palmo della mano destra una guancia ancora umida per le lacrime versate fino a qualche minuto prima.

«Posso aiutarti» la guardia interruppe il silenzio, sorridendo debolmente quando il riccio lo guardò confuso, con la fronte corrugata. «Se hai bisogno di una mano, posso aiutarti.»

Harry si chiese perché quel ragazzo stesse decidendo di dargli una mano, di aiutarlo a dimostrare che la giustizia quella volta era stata ingiusta, che le autorità avevano sbagliato, che lui stesso, aveva sbagliato. «Fai sul serio? Prima lo arrestate e poi vuoi aiutarmi a trovare le prove che lo scagionano e che mettono nei guai te e tutta la tua squadra?» sbottò, confuso e arrabbiato.

La guardia mise in fretta le mani avanti, scuotendo la testa. «Io non c'entro niente con le decisioni di quel caso, sono stato trasferito da poco in questa centrale e mi hanno solamente detto di studiare il caso e di aggiornarmi» si affrettò a spiegare, sollevato quando vide il ragazzo di fronte a sé rilassarsi e non assumere più quell'espressione arrabbiata che proprio non stava bene su quel bel volto. «Sono Trevor» si presentò poi, allungando una mano verso di lui, con un sorriso.

Harry guardò prima la mano e poi gli occhi marroni del ragazzo, ancora leggermente titubante. Alla fine, però, dopo pochi secondi decise di allungare anche la sua mano e stringergliela per brevi istanti.

«Harry» disse a sua volta il suo nome, prima di sciogliere la presa e incrociare le braccia al petto. «Perché vuoi aiutarmi?» domandò, curioso.

Trevor scrollò le spalle, mettendosi le mani nelle tasche del pantalone della divisa. «Ho assistito da lontano al tuo incontro con quel ragazzo e sto vedendo adesso i tuoi occhi» spiegò, indicando Harry col capo. «Dai tuoi occhi traspare la voglia di far uscire da qui quel ragazzo. Le tue parole mi sembrano sincere, e io voglio aiutarti a tirare fuori la verità. Le cose ingiuste non mi sono mai piaciute.»

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