Capitolo sedici.

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Sono a casa.

Harry mandò il messaggio a Zayn, prima di sospirare e stringersi le gambe al petto, rabbrividendo per il freddo che c'era quella notte.

Era tornato a casa da un paio d'ore, sua madre non era contenta come invece avrebbe dovuto essere, e ciò aveva stranito non poco Harry, che però decise di lasciar perdere quei pensieri per quel momento, sedendosi sulla panchina che avevano posizionato sul portico, perdendosi ad osservare il cielo colmo di stelle.

Il cellulare suonò, al suo fianco, segnalando l'arrivo di un messaggio. Harry pensò fosse sicuramente la risposta da parte di Zayn, ecco perché lasciò perdere.

«Tesoro?» il minore quasi sussultò quando sua madre poggiò una mano sulla sua spalla e quando incontrò il suo sguardo la vide sorridergli dolcemente. «Metti questa, non vorrai mica ammalarti? Non te lo permetto» gli disse mentre poggiava un plaid sulle sue spalle, coprendolo per bene.

Harry sorrise e si lasciò coccolare da lei, che si sedette al suo fianco e sospirò profondamente. «È per colpa di un ragazzo, vero?»

Il minore corrugò la fronte, guardandola confuso. «Cosa?»

«Il tuo ritorno anticipato, il tuo malumore, è per colpa di un ragazzo» non era una domanda, quella volta, perché sua madre capiva sempre tutto.

Harry abbassò lo sguardo e sorrise tristemente, giocando con le dita con lo strappo sul ginocchio dei jeans. «Ti va di parlarmene?»

Il riccio si morse il labbro inferiore, titubante. Non poteva raccontare tutta la storia a sua madre, sapendo ciò che pensava su Louis, quindi pensò fosse meglio divagare. «Non ha più importanza, mamma. È finita ancor prima di iniziare, quindi non ha senso parlarne» ammise, scrollando le spalle.

Anne sospirò ancora una volta. Odiava vedere suo figlio in quello stato, ma in quel momento non sapeva neppure come aiutarlo. «Tu invece hai voglia di spiegarmi il perché sei così strana ultimamente?» chiese Harry, odiando il silenzio che andò a crearsi subito dopo le sue parole, spezzandolo anche perché temeva possibili domande da parte di sua madre a cui non sapeva, e non voleva, dare una risposta.

Anne si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo dal figlio. «Ho fatto qualcosa di cui sicuramente mi pentirò, ma non ne voglio parlare con te. Non adesso» ammise, emettendo poi un sospiro tremante.

Harry non poteva costringerla a spiegare proprio come non voleva che lei lo costringesse a parlarle di Louis. Ecco perché annuì e stette in silenzio, continuando a tenere lo sguardo puntato verso il cielo, la nuca poggiata contro il legno della casa e i pensieri che andavano a focalizzarsi sempre e solo su un'unica persona: Louis.



Nelle tre settimane successive Harry e Louis non facevano altro che pensare all'altro, anche se erano consapevoli che fosse più giusto tenere i pensieri altrove, soprattutto per Louis, che iniziava a sentirsi sporco e a farsi ribrezzo perché quando andava a letto con suo marito immaginava un'altra persona al suo posto. Si faceva ribrezzo perché più volte in quelle settimane aveva tentato di dirgli la verità, peggiorando solamente la sua situazione.

Come quel venerdì sera.

«Devo dirti una cosa» aveva esordito Louis, chiudendosi la porta della loro camera da letto alle spalle e sospirando profondamente.

Evan aveva chiuso il libro che stava leggendo, poggiandolo sul comodino accanto al letto e gli aveva sorriso dolcemente. «Dimmi amore.»

Louis aveva deglutito, guardandolo negli occhi. Dalle sue labbra non uscì nulla, anche se le aveva spalancate per poter finalmente confessare che il loro matrimonio era una cosa che aveva pianificato non per amore ma solo per i suoi stupidi scopi.

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