il giorno prima...

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POV. LAILA

Sono sempre stata "strana", ma non credo che questo sia legato solo al fatto che sono un'artista.
Cominciò tutto quando iniziai a disegnare, a volte succedevano cose strane e mi sembrava di vedere i disegni uscire dal foglio, appunto, mi sembrava.                                                                 L'ultima volta che è successo stavo disegnando un falco ed ero completamente assorta, tutt'uno con la matita potrei dire, mi stavo dimenticando dov'ero e cosa poteva succedere di lì a poco, ed allora le piume hanno preso vita il disegno ha cominciato a muoversi e poi è uscito dal foglio un falco, anzi il mio falco, a grandezza naturale, ordinario in tutto e per tutto tranne che per il fatto che fosse in bianco e nero e che fosse appena uscito da un disegno.
Feci una smorfia:- Sei solo frutto della mia fantasia. - poi chiusi gli occhi e quando li riaprii il falco era solo un disegno su un regolare foglio di carta.
Pensai di stare impazzendo. Cercai di attribuire la colpa alla mia immaginazione, paccato che in fondo sapessi che non era così.
L'ultima volta da allora che avevo visto un mio disegno uscire del tutto è stato molto tempo fa, poco prima che si scatenasse il mio incubo, poco prima di perdere tutto.

Avrò avuto circa tre anni, forse cinque, e dipingevo degli uccelli, ero a casa di mio padre, con mio fratello. Poi li ho visti staccarsi dalla carta e diventare veri uccelli che presero a volare per il giardino, in una splendida giornata di sole, li guardai in estasi e mi girai solo un secondo per chiamare papà, ma bastò. Quando cercai con lo sguardo gli uccellini erano scomparsi, sul foglio c'era solo il disegno di una bambina piccola.
Fu il giorno peggiore della mia vita: qualche ora dopo stavo trasportando i miei colori dal giardino alla camera, quando udii le grida di mio padre poi uno sparo, niente, gli urli di mio fratello e io immobilizzata, impotente, piccola, sola, armata solo di una scatola di matite colorate.
Mi ricordo ancora il silenzio che per un momento regnò su tutta la casa, poi i passi, su per le scale, lungo il corridoio... passi lenti e pesanti, accompagnati dal rumore del metallo, la voce dura e folle:- Ciao bambina, come ti chiami?
Non lo vidi mai, rimasi girata di spalle e la scatola dei colori mi cadde. Le matite atterrarono di punta e sentii le mine rompersi, spaccarsi in mille pezzi come la mia anima, fu un suono orribile, amplificato nelle mie orecchie e peggio degli spari, poi ricordo solo un vortice di colori e sfumature e che pensai: "Voglio fare un disegno".

Ritornai alla realtà e mi guardai intorno, la "casa" era in condizioni penose come sempre.
Mi alzai dalla sedia di legno marcio, con una gamba traballante e mi avviai verso la "cucina", ovvero un angolo della stanza con un ripiano per il cibo, qualche pentolino, un fornelletto da campeggio e il microonde.
Guardai speranzosa sul ripiano, ma non c'era nulla (come al solito). Vorrà dire che mangerò domani, o forse fra qualche ora.
Mi avvicinai all'angolo "bagno" del monolocale e mi riempii le mani d'acqua gelida per poi schiaffarmela in faccia, alzai lo sguardo sul mio riflesso nel frammento di specchio appeso al muro: le occhiaie mi solcavano la pelle sotto gli occhi marrone-verdi e i capelli castano ramato assomigliavano ad un cespuglio potato male.
Sospirai e cominciai a districare la massa di capelli da classifica dei primati, poi li raccolsi in uno chignon fermato con una matita. Mi avvicinai di nuovo allo specchio e mi spiaccicai una dose indecente di correttore sulle occhiaie, dopo di che mi infilai la salopette, quella che uso quasi sempre, alternata a pochi vestiti.
Presi un respiro profondo prima di uscire, poi aprii la porta e chiusi mentalmente lo somparto ricordi e vita lasciando che il mondo mi travolgesse.

La prima impressione che si aveva della mia scuola era: COLORI.
Dal nero al giallo fluo, dal jeans al pantalone gessato alla gonna tutta volant.
Passai inosservata, d'altronde lì si passava inosservati anche a cavallo di un unicorno arcobaleno vomitando brillantini dorati, fino alla mia classe.
I miei compagni stavano sclerando già alle otto di mattina: chi parlava, chi scriveva cose senza senso alla lavagna, chi disegnava i baffi e la barba agli altri, chi correva in giro cercando di farsi dare i compiti... e poi c'ero io, che mi sedetti sul banco (si avete letto bene, non sulla sedia, sul banco), tirai fuori dallo zaino una spatola e iniziai a grattare la superfice della sedia dal colore incrostato, colore dall'origine sconosciuta.
Facevo un liceo artistico, ma non immaginatevi una prima, no no, io avevo diciassette anni ed eravamo tutti in quarta. Il punto è che eravamo tutti impazziti.
Forse quello era l'unico posto in cui mi sentivo quasi normale, dove pensavo che in fondo avrebbe potuto esserci qualcuno come me.
Entrò il professore di anatomia, che esordì con:- Ragazzi, sedetevi! Bella la barba Josh. HO DETTO SEDUTI! Taglio nuovo Amy?
Era leggermente bipolare, ma gli volevamo bene così.
Dopo un paio di minuti riuscì ad ottenere il silenzio ed allora chiese:- Signorina Doss, oggi non siamo in vena di sedie, eh?
- La mia sedia è piena di colore incrostato, professor Bis.
Mi trattenni dal non ridere al suo cognome, Bis per uno come lui era davvero il top del sarcasmo della vita.
- Bastava dirlo prima! Vai pure a lavarla, anche se l'idea di sedersi sui banchi mi piace... domani vi voglio tutti sul banco!
Uscii ridacchiando con la sedia in mano.
Amavo quel posto.
Ma sapevo che non era il mio.
Ero diversa anche lì.

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