cap.6

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POV. LEO

Cavolo se era stupenda...

Il mio buon senso mi scrollò per le spalle: "RAGAZZO! RIPRENDITI!"
Lo ignorai e mi avvicinai un po' di più, la mia lucidità aveva fatto i bagagli ed era andata in vacanza.
Lei, con mia grande sorpresa, mi assecondò.
Mancavano forse cinque millimetri, quando vidi il suo sguardo spostarsi, mentre urlava:- Leo! Il fuoco!- scivolando via dalla mia presa.
Rimasi fermo un attimo, cercando di metabolizzare le sue parole, poi collegai il tutto: Leo + cotta + momento perfetto = fuoco.
Scattai in piedi e mi toccai i capelli, la mia mano tornò giù in fiamme, imprecai e poi gridai di rimando:- Spegnimi!
Lei prese la coca dal tavolo e me la versò in testa.
Nell'aria si sparse l'odore del fumo.
Restammo entrambi immobili per un attimo, con il fiato grosso.
Poi lei mi guardò (ed io conoscevo bene il mio aspetto dopo aver preso fuoco involontariamente) e scoppiò a ridere, subito seguita da me.

Un'ora dopo ci eravamo sistemati per dormire: io in "cucina" e lei al di là del muro, ognuno con un materasso.
Mi sedetti vicino al cuscino mentre dall'altra parte del muro lei chiedeva:- Posso spegnere?- con il fatto che in quella casa la corrente non andava, avevamo usato delle candele.
Schioccai le dita e le fiammelle scomparvero all'unisono:- Fatto.
- Grazie.
- Di niente.
Sorrisi, era bello stare con qualcuno che non tentasse di compiacermi, solo perché poi io andassi dal mio paparino grande, potente, forte e cattivo a fare un rapporto positivo.
Iniziai a giocherellare con degli ingranaggi usciti da una delle tante tasche del mio giubbotto, ora appeso allo schienale di una sedia.
Sapevo di essere in una casa orribile, con una ragazza che conoscevo solo da quel giorno, indifesa e sola, contro di me.
Sapevo che avrei potuto mandare tutto a fuoco, derubarla, andare di là in quel momento e fare qualsiasi cosa. Lei non avrebbe potuto opporsi.
Ma aveva dannatamente ragione: in gran parte ero dolce e carino e coccoloso, però la verità era che lei si era conquistata la mia stima, il mio interesse e un pezzetto del mio cuore in queste 12 ore.
- 'Notte Fiamma.- mi apostrofò nel buio.
- Notte.- risposi.
Per un folle momento ci immaginai tra 10 anni, nella stessa casa, a letto nel buio, come una coppia normale ed essere apostrofato "Fiamma" anche là.
Poi scacciai il pensiero e mi limitai a chiudere gli occhi e sprofondare nel sonno.

Mi svegliai quando l'odore del caffè mi pizzicò il naso, non riuscivo a restare addormentato quando sapevo che il caffè mi aspettava.
Mi tirai a sedere sbadigliando in un modo spaventoso, fatto ciò mi alzai in piedi ed infine aprii gli occhi.
- Buongiorno, Bello Addormentato.- Laila se ne stava mollemente seduta su una sedia, sorseggiando da una tazza enorme.
- Fiamma mi piaceva di più. Che ore sono?- chiesi.
Lei si stampò in faccia un ghigno e rispose:- Le 11.00, Bello Addormentato.
Le puntai un contro un dito e dissi:- Attenta o dovrai iniziare a chiamarmi re del solletico.
Lei ridacchiò:- Ci procureremo un estintore.
Risposi con una falsa risata sarcastica, dopo di che mi sedetti sulla sedia con il mio giubbotto e presi l'altra tazza dedicandomi a trangugiare il mio caffè.
- Quindi,- cominciò lei -da dove possiamo iniziare?
- Non saprei... escluderei a priori di ispezionare ogni singolo metro quadrato del pianeta.
Lei annuì:- Escludiamo tutte le persone che non abbiano 35 anni.
- E tutti gli uomini.
- E anche tutte le persone troppo facili da trovare, Lei dovrebbe essere scomparsa no?
- Giusto.- confermai - Quante persone rimangono circa?
Lei restò zitta un attimo, poi rispose:- Sulle 10.000?
Mi sfuggì un'imprecazione, poi Laila parlo di nuovo:- Quanto tempo abbiamo?
Mi presi la testa tra le mani:- Dieci giorni... forse due settimane. Non possiamo incontrare 100 persone al giorno. È fisicamente impossibile.
- Si infatti. Ma allora come...- si bloccò a metà frase, come se fosse stata colpita da un fulmine. Il suo sguardo si velò per un momento.
- Che c'è?- chiesi.
- Leo... mia madre, ora dovrebbe avere 35 anni, ed è scomparsa 14 anni fa.
Sgranai gli occhi, c'era solo il 0,01% che fosse quella giusta, ma tanto valeva provare:- Bene. Sai dove trovarla, o come rintracciarla?
Lei scosse la testa:- Lei... si chiamava Thina, Thina Doss.
Fece una smorfia, come se faticasse a ricordare, come se le facesse male.
Non riuscii a trattenermi, spostai la sedia e le misi un braccio sulle spalle:- La troveremo, ok?
- Ok.- una lacrima luccicante e silenziosa le scivolò lungo la guancia e poi si infranse sul tavolo.
Non era sicuramente il momento per continuare il discorso, così lasciai stare e mi avvicinai un po' di più.
Un'altra lacrima seguì la prima, poi ancora e ancora.
Non dissi niente, rimasi semplicemente lì, a stringerla.

Non ero sicuro di quanto fosse passato, ma qualcuno bussò alla porta.
Laila trasalì, poi si asciugò la faccia e andò verso la porta, la presi per un polso:- Vado io.
Lei rispose:- Sono gli assistenti sociali, nasconditi o sarà peggio.
Decisi di ascoltarla e mi nascosi dietro il muro.
La sentii aprire la porta e poi parlò una voce, anzi quella voce.
Una voce che conoscevo fin troppo bene.
Sentii la rabbia salire, questa l'avrebbe pagata cara.

BASTA UNA MATITA...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora