cap.10

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POV.LAILA

Appena aprii gli occhi, mi stupii della comodità del letto.
Peccato che di lì a pochi secondi mi sarei resa conto che non era il letto ad essere così comodo.
- Leo!
Lui schizzò in piedi ad una velocità incredibile, con gli occhi sbarrati e una mano fumante:- Chi? Quando? Che cosa?
Allora ricordai: la sera prima, il solito incubo, Leo che mi abbracciava... io che gli chiedevo di restare.
Sorrisi:- Stressato il ragazzo...
Lui si lasciò ricadere sul letto:- No. Solo iperattivo.
Guardai l'ora, il nostro autobus sarebbe passato alle 10.30 ed erano... le 10.25?!
Presi ad andare in giro per la stanza in preda al panico, raccogliendo vestiti e sistemando le cose, la scena durò fino a quando Leo chiese:- Dobbiamo per forza andare?
Mi voltai:- Abbiamo prenotato per una sola notte. E poi non eri tu quello con la scadenza di dieci giorni?
Quel maledetto sorriso da folletto si materializzò sulle sue labbra, mentre precisava:- In realtà... ho prenotato per due notti. E poi abbiamo tempo.
- La metti così, eh?- di solito non mi venivano idee strane, ma questa volta dovevo fargliela pagare - Ok.- e con ciò entrai in bagno, lasciando la porta aperta.

POV.LEO

Ok. Quella ragazza aveva qualcosa in mente. Glielo leggevi in faccia.
Entrai in camera e provai a riflettere su cosa potesse fare, chiaramente non mi sarei mai aspettato che sarebbe successo ciò che, invece, successe.
- Leo.- chiamò lei da fuori.
Mi alzai in silenzio e guardai appena fuori dalla porta, il corridoio era deserto. Mi azzardai a fare un passo di fuori, ma bastò.
La secchiata d'acqua mi colpì in piena faccia.
Mi girai lentamente verso di lei, che se la rideva vicino alla porta della sala.
Le lanciai uno sguardo d'avvertimento e corsi in bagno a riempire una bottiglia.
Quando tornai in corridoio, lei non c'era, comunque ci misi poco ad individuarla ed allora le svuotai tutto in testa.
Non feci in tempo ad afferrarla che scivolò via, correndo in camera, appena entrai lei... stava disegnando.

Si, proprio disegnando.
Mi fermai sulla soglia, ma appena iniziai a capire perchè disegnasse era troppo tardi.
Infilò una mano nel foglio ed estrasse una pistola ad acqua gigantesca, carica e con canna rotante.
Mi lanciai lungo il corridoio gridando:- Ma così non vale!
Lei rise:- Non abbiamo mai detto di avere delle regole, o sbaglio?
Sentii il mio cervello lavorare a mille ed infine afferrai il prototipo su cui avevo lavorato la sera prima, le mie mani si mossero ad una velocità innaturale, cambiai l'ordine di alcuni cavi ed ingranaggi e poi, voilà.
Mi stavo rigirando in mano un fucile a pressione, ricaricabile ad acqua.
Sentii, per una volta, il mio buon senso fiero di me "così ti voglio, ragazzo!".
Mi complimentai mentalmente con me stesso.
Ora, però, avevo altri problemi da risolvere, per esempio una ragazza carina che voleva a tutti i costi farmi una doccia contro la mia volontà. Ma solo per ipotesi, eh.
Uscii da dietro l'angolo e lei mi vide, sfortunatamente, aveva una mira piuttosto buona.
Quando il getto d'acqua finì, fu il mio turno, solo che anche la mia ricarica non era inesauribile... purtroppo.
Una volta che si esaurì ci guardammo per un momento, lei corse verso la camera. Ma questa volta riuscii a dirottarla fino al bagno, dove la spinsi nella doccia, ed infine aprii l'acqua.
Lei lanciò un urletto e poi disse:- È fredda, cazzo!
Ghignai:- Beccati questa!- Mi voltai per uscire, ma una bottiglietta di shampoo volò attraverso la stanza e mi colpì in testa.
Laila disse, spegnendo l'acqua della doccia:- Beccatela tu!
Mi voltai, lentamente e con uno sguardo omicida.
L'unica cosa che mi tradiva era il sorriso divertito che ero sicuro di avere.
Lei non era come le altre ragazze che avevo conosciuto, era sicuramente più testarda, più menefreghista dell'aspetto, riusciva a mantenere un discorso con me senza che finisse con un "racconta a tuo padre di me" e soprattutto non faceva niente per cui io dovessi interessarmi a lei.

Il punto è che lo ero già.

Scattai verso di lei, con l'intenzione di farle il solletico, ma nel tempo dello spostamento il tutto sfumò ed invece la abbracciai.
Come non avevo fatto con nessuno, forse apparte mia madre, un abbraccio vero. Di quelli che sembrano urlare a pieni polmoni "GRAZIE".
Lei ricambiò.
Il suo "grazie a te." arrivò forte e chiaro.
E qualcosa, laggiù nel profondo di me, si sciolse.
Qualcosa brillò sotto tutta la tristezza che mi portavo sulle spalle da anni.
Mi parve di riconoscerla.
Non si poteva dire, ma mi parve...

FELICITÀ.

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