Cap.11

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POV.LAILA

Mi lasciai ricadere sul letto, stremata.
C'erano volute ore per asciugare tutto quel disastro, ore nelle quali avevamo fatto gli stupidi per 1/4 del tempo.
Il culmine dell'ignoranza era venuto quando Leo, in seguito ad un obbligo da parte della sottoscritta, era uscito sul terrazzo ed aveva iniziato a sbraitare cose senza senso contro i passanti, come: "signora! Ma è impazzita? Al giorno d'oggi con un cellulare? Ma lo sa che quel cibo spazzatura lo mangiavamo solo fino a ieri?!"
o "hey Derry! Come te la passi? Si parlo con te, quello biondino!" il discorso allora aveva preso una piega esilarante:
"Io non sono Derry!"
"Che simpatico! Sempre a scherzare!"
"Io non sto scherzando."
"Certo che no! Non ti ricordi? Ora la tua battuta era ~non ci sei cascato nemmeno questa volta!~ forza dillo."
"Ma vaffanculo!"
"Se sei così gentile da accompagnarmi ci vado volentieri!"
A quel punto aveva dovuto abbassarsi per schivare una pietra.
I muscoli della faccia mi facevano ancora male.
Trovai una posizione più comoda sul materasso, in quel momento di spensieratezza chiusi gli occhi, ma all'improvviso mi ricordai degli incubi.
Tornavano. Sempre.

Le urla delle ultime persone da cui ero stata amata davvero. Le mine che si spezzavano come le loro vite, il suono che mi rimbombava in testa come una terribile eco, pronta a ricordarmi che non avevo niente di più delle matite e dei fogli.
Disegnare era l'unica cosa per cui tiravo avanti, l'unico motivo per cui non mi ero ancora fatta trascinare completamente sul fondo di quel mare di disperazione.
Il mio liceo... l'unico posto in cui ero riuscita a dimenticarmi quanto fossi diversa e distrutta rispetto a tutti.
Tutte le bugie, tutte le lacrime, tutte le ferite, tutte le volte che avevo pensato di saltare dal tetto.
Tutte legate a soli venti minuti di un giorno ormai lontano.
Da allora erano passati tredici anni.
Tredici anni di solitudine.
Tredici anni in cui avevo vissuto senza rendermene conto.
Tredici anni in cui ci mettevo tutta me stessa per far passare ogni singolo secondo.
Tredici anni che mi avevano strappata dalla mia vita.
Tredici anni in cui tutte le notti mi svegliavo urlando.
Tredici anni in cui la mia anima era rimasta a quel 12 maggio.
Tredici anni in cui mi ero convinta di essere pazza.
Tredici anni sprecati.
Tredici anni.
Non mi ero resa conto di stare piangendo, ero scossa dai singhiozzi.
Un sonoro criiiiiik provenne da fuori della stanza.
Leo stava giocherellando di nuovo con gli ingranaggi.
- Leo, potresti non fare quel rumore?- chiesi con la voce leggermente rotta. Per un attimo le mie parole si persero nell'ombra.
Poi lui replicò:- Solo se tu smetti di piangere.
Mi alzai, asciugandomi la faccia con la maglietta:- Ma io non sopporto quel rumore.
La sua risposta arrivò sicura:- E io non sopporto sapere che piangi per qualcosa di cui non ti posso consolare.
Tirai su con il naso ed andai fino alla soglia di camera sua:- Ti importa davvero?
Intravidi la sua sagoma sul letto, poi lo sentii appoggiare gli ingranggi sul comodino e lo vidi allungare una mano verso di me:- Vieni quì.
Mi avvicinai, ma le lacrime incombevano tentando di uscire, lui parlò con calma, con un autocontrollo incredibile:- Mi importa perchè tu sei stata la prima che non abbia avuto paura di me, che non mi abbia chiesto di mio padre e che si sia fidata fin da subito, non sei superficiale. Mi importa perché in tre giorni sei riuscita a fare in modo che ora io dica "ti voglio bene". Quindi si, mi importa davvero.
Non riuscivo a crederci, le parole ti voglio bene ormai non erano più concepite nel mio vocabolario, ma sentirle ancora, dopo così tanto era fantastico:- Leo, posso...- indicai il suo letto, ormai le lacrime avevano preso a scendere silenziose.
Lui si fece da parte, senza dire una parola.
Mi stesi di fianco a lui e non appena mi appoggiai al materasso, mi strinse la vita con un braccio.
Non dissi niente, perchè mi stava benissimo così.
Era da tredici fottutissimi anni che qualcuno non mi abbracciava.
Ed ora avevo finito di aspettare.
Chiusi gli occhi e lentamente calai nel sonno.

Per tutta la notte nessun incubo osò nemmeno avvicinarsi ai miei sogni.
Ed era la terza volta che succedeva.
La terza volta che dormivo con Leo.
Con Leo.

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