cap.17

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POV.LEO

"Gasato" era un eufemismo in quel momento. Ero così contento di essere al comando per cinque giorni che scoppiai in una risata liberatoria (mi prese anche fuoco il naso, a proposito). Il punto è che avevo passato tutto il tempo prima di quella notizia stupenda dell'angoscia di dover affrontare mio padre, mettendo a rischio la vita di Laila. Se le fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato.
E invece BAM! Capo supremo di un'intero palazzo stupendo! Divertiti!.
Come prima cosa sistemai Thina, poi accompagnai Laila a fare un giro, fino alla mia stanza.
Un po' mi era mancata, con tutte le mie idee incenerite o in fase di costruzione, la porta meccanica con la serratura a conoscenza solo mia e di Marie, tutti i miei attrezzi.
Feci scattare gli ingranaggi che aprivano la porta secondo la combinazione: 7, 7, L, 15, 1, R.
La stanza era inequivocabilmente incasinata.
Mi fermai sulla soglia e Laila spiò da dietro la mia spalla, era da mesi che non entravo lì.
- Giusto un po' di disordine.- esordii.
- Sistemiamo tutto?- chiese lei.
Sbuffai:- Mi sa che ci tocca.

Fu una giornata lunga. Lavorammo prevalentemente in silenzio, nel frattempo mi venne in mente che mancava poco al 21 giugno.
Ovvero il giorno della nascita di Fuoco e di tutto il regno, ogni anno si teneva un ballo in occasione. Quest'anno mi sarei goduto la festa senza mio padre, con Laila e in pace.
I miei pensieri volarono al vestito nascosto nella mia valigia e sorrisi impercettibilmente.
Alla fine eravamo riusciti a ripulire tutto dall'olio per motori che era ovunque, a sistemare tutte le macchine sui tavoli o nell'armadio e ci eravamo cambiati, per andare a dormire.
Ora Laila indossava dei pantaloncini elasticizzati e una larga maglia blu.
Finalmente ci stendemmo e crollammo subito nel sonno.

Mi svegliai incredibilmente bene per aver dormito nello stesso posto dove i miei crolli mi distruggevano.
Spostai lo sguardo su di Laila e rimasi a guardarla per un po'. Era completamente ranicchiata contro di me, la fronte appoggiata al mio petto, i capelli sparsi intorno alla testa e il respiro regolare.
Era bella almeno quanto testarda. Ed era MOLTO testarda.
Per un attimo pensai che non me la meritavo, poi lei sospirò nel sonno e si distese in tutta la sua lunghezza, spostando le braccia sopra la testa.
Contai mentalmente tre, due, uno...
Si girò su un fianco per guardarmi nella penombra spezzata dalla luce che penetrava dai bordi delle finestre:- Ciao.
- Ciao.
- Allora, che si fa?- chiese con la voce ancora roca per il sonno.
- Abbiamo tre possibilità: A. Andiamo a mangiare. B. Ci facciamo portare il cibo. C...- sorrisi -io mangio te.
Per un momento mi guardò male, poi scorsi una scintilla nei suoi occhi e lei rispose:- Sempre che io non mangi prima te!
Prima che potessi reagire mi era già addosso che fingeva di mangiarmi una spalla.
Dopo un po' si fermò, alzandosi sui gomiti.
La guardai un momento, con i capelli che brillavano d'oro sotto le lame di luce che attraversavano la stanza, un sorriso tranquillo sulle labbra.
Poi mi sporsi un po' per baciarla, rimasi neutro, in fondo stavamo insieme da poco. Ma fu lei a disintegrare il mio autocontrollo.
Mi spinse di nuovo la testa sul cuscino, mordicchiandomi piano un labbro, senza farmi male (come invece era successo la mattina precedente. Senti, bellezza, hanno dei diritti le mie labbra, okay?).
Sentii le sue dita tentennare sull'orlo della mia maglia.
Mi staccai con uno schiocco piacevole e sorrisi:- "Non correre", eh?
Mi parve di vederla avvampare nell'oscurità, ridacchiò nervosa:- E di che ti lamenti?
Non smisi di sorridere, ma sentii la mia ragione andarsene completamente:- Oh, di niente...
Feci scivolare un dito lungo il suo fianco, lentamente, alla fine afferrai il bordo della maglietta e, con la mano libera, la attirai verso di me baciandola con più forza di quanta credessi.
Spinsi la sua maglia verso l'alto.
Ma, ovviamente...

CLAK!

La serratura scattò.

La porta si aprì.

Il profumo dei pasticcini al cioccolato di Marie la precedette.

Noi ci bloccammo.

Lei si affacciò dalla porta e, appena vide la scena, sgranò gli occhi, diventò paonazza e lasciò il vassoio con la colazione a terra, per poi uscire gridando:- Io non ho visto niente!
Io e Laila ci guardammo, un sorriso si presentò sulle labbra di entrambi.
- Pasticcini.- disse lei.
- Al cioccolato.- conclusi io.
E le nostre intenzioni vennero deviate.
Ed ora, tu che leggi, sappi che QUEI PASTICCINI AL CIOCCOLATO possono deviarti da qualsiasi cosa. Qualsiasi. Quindi smetti di lamentarti e continua a leggere. Okay?

Fatta la colazione, come tutti i rispettabili adolescenti in vacanza, non avevamo la più pallida idea di cosa fare.
- Fammi pensare, probabilmente dovremo rischiare la vita un paio di volte, quindi... chi sa combattere?- spostai lo sguardo per la stanza, pensando a chi poter rivolgersi.
Cioé, qualcosa la sapevo fare anch'io, ma diciamo che c'erano un sacco di persone più adatte di me.
Laila inarcò un sopracciglio:- Tu?
Feci una risata sarcastica:- No, no, no. Le vedi quelle?- indicai tutti gli attrezzi sul muro -quelle sono le mie armi. Le uniche.
Lei rimase seria:- Bene. Insegnami ad usarle.
- Cosa?!
- Tutto è un'arma. Io combatto con le matite e i colori.
Sospirai, appunto: testarda:- Ok.

Mi sentii un po' strano a dire a parole quello che fino ad allora avevo solo pensato.
Iniziai a farla provare prima a smontare qualcosa, così si capiva più in fretta la struttura delle cose.
Si vedeva che era completamente a disagio con il cacciavite in mano, ma quell'espressione determinata non concedeva alternative.
Stava smontando un drone piuttosto semplice, girando il cacciavite a scatti e con troppa rigidità, non riuscii a trattenermi.
- Hey, piano.
Misi una mano sulla sua e girai quasi senza pensare, lasciando che fosse la vite stessa a dirmi quanta forza usare, lo sentivo sempre da subito, nelle dita.
La vite venne via come se scivolasse sull'olio.
Lei passò a quella successiva, questa volta dissi solamente:- Inizia piano, poi se senti che devi girare più forte, vai sicura.
Andò meglio.
Man mano che andavamo verso il centro ci impiastricciavamo sempre di più le mani con l'olio per motori.
Una volta finito lei incrociò il mio sguardo:- Be', non è stato male.
- Come potrebbe?- aveva un paio di strisci neri in faccia, ma non sembrava essersene nemmeno accorta, e mi andava bene così, perché vederla con l'olio per motori a me tanto conosciuto in faccia mi faceva sentire come se fosse più vicina.
Pensando questo mi resi conto che effettivamente era troppo lontana.
Mi avvicinai e lei mi sfuggì di lato, per poi sussurrarmi all'orecchio:- Prima ti lavi la faccia, Fiamma.
Mi allontanai per guardarla e replicai:- Usando quel soprannome mi avresti corrotto facilmente. Ma è da dieci minuti buoni che ti fisso le labbra e aspetto. Sono stanco di aspettare.
I suoi occhi brillarono:- E allora fanculo allo sporco.
Mi mise le braccia intorno al collo ed io la baciai, e non era un dire lei è mia come probabilmente avrebbe voluto che fosse mio padre, ma era un lei ha scelto di essere mia.
Mi chiese timidamente l'accesso alla bocca ed io glielo concessi subito.

Quella giornata si concluse così, in un modo stupendo.

BASTA UNA MATITA...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora