Capitolo 5

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L'agente Romanoff arriva alla clinica prima dell'alba, non molto dopo aver ricevuto la chiamata.
Entra di corsa, dirigendosi subito verso la stanza della paziente che sorvegliava. Non ha idea di quello che troverà: un cadavere, una persona sveglia e pienamente cosciente, la stessa persona degli altri giorni, o qualcos'altro.

« Grazie per essere venuta subito. »

Ad accoglierla c'è la stessa infermiera del primo giorno, Natasha la saluta cordialmente poi le chiede di lasciarla sola con la fanciulla che, a quanto pare, dovrebbe svegliarsi entro poche ore.

Appena è sicura di essere lontano da orecchie indiscrete Nat si avvicina alla ragazzina e le accarezza dolcemente i capelli.

"Ciao piccola, -comincia- da quello che ho sentito dire hai deciso di non arrenderti... Ora sono qui e se tu decidessi di svegliarti e di non avere più crisi cardiache (o qualsiasi cosa ti abbia quasi fatto morire) te ne sarei davvero grata.»


La ragazzina si muove appena.

Si muove?!

Ma non fa altro, per cui Natasha decide di accomodarsi sulla poltrona che c'è nella stanza e di leggere un libro che ha nella borsa.

Sono circa le otto di mattina, quando Nat chiude il libro. Fa per alzarsi, ma, come già accaduto gli altri giorni, ha un capogiro. Aspetta ancora un istante, poi si alza e si avvicina alla giovane. Da qualche minuto ha cominciato a borbottare qualcosa in una lingua che la donna non riesce ad identificare. La donna decide di andare a prendersi un caffè alle macchinette che ha visto in fondo al corridoio.

La ragazzina socchiude gli occhi e si ritrova abbagliata da una luce innaturale. Dopo qualche minuto riesce a vedere delle sagome: è in una stanza con i muri chiari e sta guardando il soffitto. Con uno sforzo discreto tenta di mettersi seduta, troppo faticoso, stabilisce ricadendo sul cuscino.

In queste condizioni è difficile capire se si è svegli o si sta sognando, per accertarsi di non essere addormentata la ragazzina decide di darsi un pizzicotto su un braccio. Nello spostare il sinistro muove le dita della mano e rabbrividisce. Una fitta sul dorso della mano, come una spina. Si morde il labbro inferiore per non piangere, nonostante gli occhi le lacrimino già.

Quando Natasha rientra per poco non si prende un colpo. La ragazzina è sveglia e la sta fissando.
Ha gli occhi di un marrone scuro a tal punto che, se non avesse la luce dei neon puntata negli occhi, sarebbe quasi impossibile distinguere l'iride dalla pupilla.

« Ehi... » Nat concentra tutta la dolcezza che riesce in quell'unica parola, non vuole che la ragazzina si spaventi.


La flebile risposta non è in inglese, ma nella voce tremante si può intendere ugualmente uno stato di confusione.

« Io sono Natasha. -si presenta lentamente la donna additandosi il petto nel pronunciare il proprio nome- Ora sei in un ospedale, con dei dottori che lavorano per farti stare meglio. -spiega indicando la stanza- Capisci quello che dico? »


Un attimo di silenzio che pare interminabile, poi, lentamente, la ragazzina, incerta, annuisce.

« Sì. »


« Ti ricordi come ti chiami? Qual è il tuo nome? »


La giovane si mordicchia nervosamente il labbro inferiore: decisamente l'inglese non le risulta facile, soprattutto appena sveglia.

« Bianca, il mio nome è Bianca. » rivela alla fine con un certo sforzo.


Ha un accento straniero, non ispanico, ma certamente del ceppo linguistico neolatino.

« Vuoi metterti seduta, Bianca? »


Bianca assente con un cenno del capo. Natasha preme un pulsante del telecomando appeso ad una delle spondine del letto su cui si trova Bianca. La parte anteriore del letto comincia ad alzarsi e la giovane sobbalza per lo spavento. Facendo scappare un sorriso alla donna che ha azionato il comando.
Nel frattempo torna l'infermiera di qualche ora prima.

« Salve. -la saluta l'agente Romanoff- Come può vedere la nostra Bella Addormentata si è destata dal sonno profondo. »

« Che bella notizia! -esclama la donna- Ciao cara, io sono Molly. Sono molto felice di conoscerti. »

Bianca, confusa, biascica una risposta. Fortunatamente Natasha corre in suo soccorso.

« Non parla molto bene inglese, credo che non sia nemmeno nata negli Stati Uniti e sembra essere un po' timida; prima, però, mi ha detto di chiamarsi Bianca. »

« Oh, che bel nome! Ora vado a dire al dottore che ti sei svegliata, -annuncia arzilla l'impiegata della clinica- così potrai andare via presto. »

« Andare via? » ripete Bianca rivolgendosi a Nat dopo che l'infermiera se ne è andata.

« Tranquilla, -la rassicura la donna- intendeva dire che, quando saranno sicuri che tu stia bene, ti lasceranno uscire dall'ospedale. »

« Questo l'avevo capito, il mio dubbio è: dove vado? »

« Se riesco a sistemare tutti i documenti, starai da me finché non troviamo la tua famiglia. »

Un'ombra si fa largo sul viso della fanciulla. "Allora vivrò con te per sempre... »

« Mi dispiace, -Nat corruga la fronte- è una mia impressione o parli meglio l'inglese, adesso? »

« No, è così: quando mi sono svegliata non riuscivo a pensare in inglese, ora ci riesco meglio. Quando posso togliere questo coso? » domanda indicando l'ago della flebo.

« Se cominci a mangiare, presto.» risponde una voce maschile: il medico che la deve visitare.

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