twenty - truths

237 18 0
                                    

Io ed Ashton passammo il resto del giorno insieme. Presto ci stancammo dei negozi e delle commesse che ci cacciavano perché pensavano che eravamo dei ragazzini che volevano rubare qualcosa. Avevamo camminato per un po' con lo skate ed io dovevo ringraziare il sole per aver costretto Ashton a togliersi la maglietta. I suoi muscoli erano intensi.

Ma avevo notato qualcosa sul suo polso, visibile tra i braccialetti. Non era che non l'avessi notato prima, ma ora erano visibili e la cosa mi intrigava. Probabilmente tanto quanto io intrigavo lui.

"Ashton Fletcher, che ora è?" Mormorai contro la sua spalla nuda quella sera, mentre eravamo stesi sull'erba a guardare le stelle.

"Sono le 3:34 del mattino, Zoe Lee."

"Vuoi andare?" Chiesi timidamente.

"Intendi sul tuo tetto?"

"si."

"Andrei dappertutto con te. Se vuoi dirmelo possiamo andare, se vuoi aspettare possiamo rimanere. E' una tua decisione."

Feci una pausa per pensare. Non ci sarebbe stato un momento migliore di questo.

"Andiamo allora." Dissi, alzandomi e offrendogli la mia mano.

"Sei sicura?"

"Non farmi cambiare idea, Fletcher." Sbottai, sapendo che ci sarebbe stato un ghigno sul suo viso se l'avessi guardato adesso.

..

Ed era così che eravamo finiti qui. seduti sul tetto della mia schifosa casa, a chiederci cosa avrebbe pensato l'altro quando tutto sarebbe finito.

"Da dove vuoi che inizi?" La mia voce si spezzò un po', come se stessi già iniziando a piangere. Ma non avrei permesso che tutto questo diventasse una festa di singhiozzi, non avrebbe dovuto sentirsi male per me.

"Inizia dall'inizio, voglio sapere tutto." Mise l'accento sulla parola 'tutto' come se ci fosse una certa miseria dietro tutto che lui mi stava supplicando di sapere.

Cercai di prepararmi per lo stato vulnerabile in cui mi sarei ritrovata. Non volevo sembrare debole di fronte a lui, ma sapevo che lui non mi avrebbe giudicato o che, peggio, non avrebbe provato pietà per me.

"Va bene. Cerca di non interrompermi o non riuscirò a continuare. Quando avevo 13 anni, i miei genitori, i miei veri genitori, stavano avendo delle difficoltà. Era ovvio che sarebbe arrivato un divorzio. Ma io ero una ragazzina che non sapeva niente, quindi pensavo che andasse tutto bene. Non si urlavano contro, era l'opposto. Si ignoravano. Mio padre aveva preso una cattiva strada, era diventato un alcolista. Cercava di nascondere il fatto che le cose stavano per finire, come in tutte le più grandi tragedie. Era difficile vederlo così. Una notte tornò a casa e li sentì urlare, quindi scesi al piano di sotto e vidi che lei stava prendendo le sue cose per poi andare via. Lui rimase seduto immobile e muto, probabilmente in preda allo shock. Si poteva sentire la puzza irradiare da lui e solo quello mi fece sentire male. Dopo che mia madre se n'era andata, lui mi afferrò, trascinandomi in macchina e continuava a ripetere cose senza senso come 'la farò ritornare' o qualcosa del genere. Ma lui era ubriaco ed io sobria, ed ero troppo piccola per capire. Quindi continuò a guidare dritto verso una macchina che stava arrivando. Non cercò neanche di sterzare. Fortunatamente l'altra macchina cercò di spostarsi, evitando il lato di macchina dov'era mio padre. Però rimasi io, seduta dal lato dove la macchina andò a sbattere. Mio padre stava bene, si ruppe solo qualche osso. Ma io finì in coma, pensavano tutti che sarei morta. Queste cicatrici che ho sulle braccia, le gambe e il petto..." Mi fermai, i nostri occhi si posarono sui segni che avevo sul corpo. "Non sono perché ho cercato di farmi del male da sola. Praticamente sono le cicatrici di quando mi hanno ricucito. Avevo molti danni. E' per questo che non cerco di coprirle. Non mi importa indossare top, pantaloncini e magliette corte. Perché, sinceramente, non ho paura di stare nella mia stessa pelle."

Feeling This | Ashton Irwin (traduzione italiana)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora